PROSPETTIVE/ Tracce di infinito nell’ambiente

- Piero Gagliardo

È possibile una sinergia tra ciò che esiste in natura, che è strutturalmente finito, con l’espressione più lontana dall’esperienza sensibile, che è l'infinito? Il commento di PIERO GAGLIARDO

stella-neonata-geyser-spazio-universo Immagine di archivio

Durante la settimana del Meeting di Rimini 2012, partecipando ad incontri, mostre, discussioni, letture, tutte finalizzate a rigenerare nella concezione dell’essere umano il suo rapporto con l’infinito, ho provato ad immaginare una sorta di sinergia possibile tra ciò che esiste in natura, che è strutturalmente finito, con l’espressione più lontana dall’esperienza sensibile, che è appunto l’infinito.

Ricordo che, qualche anno fa’, introducendo gli argomenti del corso di Geografia a Lettere Moderne, presentai ai miei giovani universitari una slide nella quale compariva una fotografia, scattata in agosto nell’alta Valle d’Aosta, che ritraeva un ragazzo con i piedi immersi in un piccolo lago di origine nivale, intento ad osservare dei girini muoversi nell’acqua attorno ai suoi piedi. Accanto a questa immagine era rappresentata una scala spaziale che andava dal Pianeta Terra, al sistema solare, ad un frammento della Via Lattea e, infine, ad una porzione di Universo…

La spiegazione della slide era, in sintesi, così articolata. L’osservazione del ragazzo sul fondale del minuscolo lago è interessante, utile, culturalmente evoluta, ma il soggetto è consapevole della sua appartenenza alla complessità di relazioni tra la Terra, il sistema solare, la nostra galassia e quindi l’Universo, le cui dimensioni tendono all’infinito? Cioè, la lettura di un ambiente, caratterizzato da una conca nivale, che, nei mesi estivi, per l’impermeabilità dei terreni e per l’aumento della temperatura, si trasforma in una pozzanghera d’acqua, che significato assume per l’essere umano, se non entra in rapporto con la pluralità di relazioni, che convergono tutte nell’Universo?

Credo che uno dei compiti più urgenti che occorra svolgere in questo periodo storico, consista nell’educare l’essere umano a guardare l’ambiente attraverso la tessitura di un sistema di relazioni, a volte estremamente complesse, ma reali, tanto da non richiedere, almeno inizialmente, la formulazione di una visione del mondo incentrato su questo o su quel paradigma.

Tat’jana Kasatkina, nella sua premessa alla mostra a Rimini su Dostoevskij: L’immagine del mondo e dell’uomo: l’icona e il quadro, scrive: “Si tratta del fatto che non siamo capaci di guardare – guardiamo troppo poco e troppo poco lontano –  e del fatto che vediamo solo l’esteriorità, perché usiamo la nostra vista superficialmente, non permettiamo ai nostri occhi di immergersi dentro quello che ci appare, non ne vediamo il mistero. Così a causa della nostra vista indebolita, la superficie delle cose smette di essere segno e diventa ostacolo”.

Le relazioni tra i fattori costitutivi della realtà esistono e sono documentate dalla scienza, ma necessitano di una comprensione accurata a livello della loro interdipendenza funzionale ed all’interno di una dimensione scalare, che, in termini sperimentali, comporta un decisivo ampliamento di orizzonte, tanto da invadere il campo dell’infinito.

La diffusione di una metodologia scientifica di indagine del reale, attenta a particolari ed a dettagli sempre più definiti, assume un valore straordinario nell’ambito della permeazione di spazi assolutamente ignoti in precedenza. Tuttavia, l’eliminazione, in termini concettuali, del rapporto con l’infinito, che parrebbe essere l’unica via sperimentale possibile, provoca nello speculatore della realtà, sia esso scienziato o uomo della strada o bambino, uno smarrimento circa la possibile formulazione di una visione del mondo.

Le relazioni tra esseri umani ed ambiente, tra gli ecosistemi e le fasce climatiche del Pianeta, tra la Terra ed il sistema solare e la Via Lattea, tra le galassie e l’Universo sono reali, misurabili: queste misure sono valide per tutti gli esseri umani del Pianeta, ma sono soltanto misure del particolare, per grande o piccolo che possa essere. Nella misura è il rapporto con la dimensione dell’infinito che viene censurato, come non indispensabile alla conoscenza del finito o come azzardato presupposto dell’esistenza del “generatore dell’infinito”, che sembrerebbe coincidere con l’affermazione dell’esistenza di un  Dio, non comune a tutti gli esseri umani.

Le dialettiche creazioniste ed evoluzioniste, forse,  non aiutano a comprendere la realtà nella sua declinazione più autentica, ma sembrano imporre delle scelte di campo, che, a loro volta, renderebbero il lavoro della scienza pressoché inutile, se non secondario, imponendo visioni del mondo aprioristiche di tipo tematico, anziché di tipo relazionale.

Ecco allora che, un po’ alla volta, si può intuire come l’osservazione dell’ambiente comporti la necessità di una sua collocazione concettuale individuabile non solo nei sistemi di relazione, sinergici tra loro, ma addirittura come paradigma di una complessità relazionale con l’intero Universo.

Quando guardiamo il cielo notturno estivo,  rimaniamo stupiti o rapiti dallo splendore del firmamento e corriamo con il pensiero alla poesia, all’arte, alla musica, alla bellezza insomma, quasi astraendo dalla realtà, anche se ne siamo autenticamente innescati. Per altri versi, accade, subito dopo, di “precipitare rovinosamente” in una porzione di realtà, che, per una sorta di educazione al vero profondamente errata, (si pensi alla netta separazione tra cultura scientifica ed umanistica) consideriamo più attendibile, più sperimentabile, più consona alla nostra dimensione di esseri finiti, quindi più autentica.

Il guaio certo è che questa realtà, che consideriamo oggettiva ed a nostra misura, ci fa del male, ci rende dipendenti dalle vicissitudini stesse dell’ambiente in cui viviamo, ci logora dentro la valutazione del limite, condizionando pesantemente il nostro spirito di iniziativa, facendoci perdere, così, il sapore galattico dell’Universo infinito.

Infinito inteso come spazio delle relazioni, come dimensione culturale e concettuale, infinito come significato del nostro appartenere alla realtà, infinito come bisogno di dimensioni senza limiti di tempo e di spazio, che nel pensiero prendono forma, e dove, tuttavia, è compresa la nostra limitata umanità: è la nostra natura autentica, che affiora come grido o domanda o esigenza di ciò che esiste davvero nella realtà e che troppo spesso riteniamo di non poter abbracciare con tutta la passione di cui siamo capaci.

La natura, nella sua molteplicità di elementi, è offerta all’umanità come aiuto alla comprensione della bellezza dell’Universo, dove ogni elemento sembra essere sincrono all’armonia dell’infinito.





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