ALLERTA MALTEMPO/ Ecco perché la Sicilia è “quasi” ai Tropici

- Ambrogio Volonté

Cicloni tropicali che si abbattono anche sul territorio italiano: che succede al clima? Come mai certi fenomeni. Risponde in questo articolo AMBROGIO VOLONTE'

ciclone_R439 Immagine di archivio

Anche quest’anno stiamo assistendo a diversi episodi di piogge autunnali molto intense e purtroppo anche ad eventi alluvionali in diverse zone italiane. Non ha fatto eccezione la perturbazione giunta la scorsa settimana e si guarda ora con una certa preoccupazione anche alle abbondanti precipitazioni previste su molte località a rischio per i prossimi giorni. Giustamente questi episodi di maltempo trovano una vasta eco sui giornali, ma tra i vari termini usati, più o meno scientifici, probabilmente l’attenzione dei lettori è stata catturata dal titolo “ciclone tropicale in Sicilia”, apparso su molte testate tra venerdì e sabato. Come è possibile che si sia osservato un “ciclone tropicale” in Sicilia (che, pur essendo all’estremo meridione della nostra nazione, non si trova di certo ai Tropici) ?

In effetti il termine corretto è “tropical-like cyclone – TLC” (ciclone “quasi-tropicale”) o “medicane” (Mediterranean Hurricane) e dall’immagine da satellite si nota un sistema nuvoloso che, sebbene molto più piccolo e fortunatamente meno intenso, ricorda la forma degli uragani caraibici e nordamericani. Cerchiamo allora di capire cos’è un ciclone “quasi” tropicale e cosa ne ha permesso la genesi all’interno del mediterraneo.

Prima di tutto è utile fare un po’ d’ordine nella terminologia: parliamo di ciclone quando si ha una circolazione atmosferica in senso ciclonico, cioè antiorario; questo tipo di moto avviene attorno ad area di bassa pressione, che sappiamo essere associate a nuvole e piogge. Le due categorie principali in cui si dividono i cicloni tropicali e quelli extratropicali.

A dispetto del loro nome abbastanza altisonante, i cicloni extratropicali sono piuttosto comuni alle nostre latitudini, dato che tutte le più importanti perturbazioni che osserviamo non sono altro che cicloni extratropicali, più o meno intensi. Essi si formano a causa della differenza di temperatura tra l’aria che scorre alle alte latitudini e quella più temperata a sud: questa differenza, se è abbastanza alta, induce venti intensi in direzioni differenti alle varie quote dando forma a un sistema asimmetrico e abbastanza complesso (si parla spesso di fronti caldi e freddi…) e permettendo l’instaurarsi di moti verticali che conducono alla formazione di nuvole e alle piogge conseguenti. 

I cicloni tropicali invece hanno un origine totalmente diversa; infatti essi vengono alimentati dall’energia disponibile nei caldi oceani delle latitudini tropicali. Infatti se l’aria calda e umida che si trova sopra l’oceano comincia a sollevarsi, a una certa quota comincerà a condensare l’ingente quantitativo di vapore acqueo che contiene, liberando energia (calore latente) che potrà essere sfruttata dal sistema per continuare a sollevare aria umida, instaurando cosi un meccanismo autosufficiente, almeno finché le condizioni non variano e il ciclone rimane sul mare.

Per la loro formazione, i cicloni tropicali necessitano di un ambiente in cui i venti variano molto poco con la quota e di una causa che dia inizio al sollevamento dell’aria calda e umida. Come si nota, le differenze tra cicloni tropicali ed extratropicali sono molte e importanti e si riflettono nella forma: infatti i cicloni tropicali sono molto più simmetrici, con l’aria che circola sollevandosi in spirali che si attorcigliano attorno al caratteristico occhio. Al crescere dell’intensità dei venti generati i cicloni tropicali passano dall’essere denominati depressioni tropicali a tempeste tropicali fino ai ben noti uragani (chiamati invece tifoni nel sud-est asiatico).

Come è possibile dunque che si sia formato un ciclone di questo tipo in Sicilia? Avvalendoci di alcuni studi recenti proviamo a delinearne il meccanismo di formazione e a capire se sia stato un evento eccezionale o no.

Da un articolo di Cavicchia et al. (“A long-term climatology of medicanes”, Climate Dynamics, vol 43, 2014) osserviamo che mediamente si verificano 1-2 “medicanes” ogni anno nell’intero bacino mediterraneo e che le regioni più soggette sono il Mediterraneo Occidentale e l’area che va dal Mar Ionio alle coste del Nord Africa. Quindi possiamo dire che pur non essendo eventi così comuni, non possiamo considerarli eccezionali. Sempre nello stesso studio si precisa che il periodo più favorevole alla loro formazione va dall’autunno all’inizio dell’inverno; questo dato ci permette di fare una considerazione per evidenziare il meccanismo di formazione dei cicloni quasi-tropicali mediterranei. Infatti, nel periodo dell’anno appena nominato si possono avere incursioni di aria fredda fin verso le sponde meridionali del Mediterraneo, le cui acque sono ancora relativamente calde. 

Tale differenza di temperatura, unita ad una causa di innesco dei moti verticali, può consentire al sistema di svilupparsi come un ciclone tropicale, seppure è molto difficile che raggiunga l’intensità di un uragano, data la minore energia in gioco. Questo è proprio quello che è successo venerdì, con una zona di aria fredda che si è isolata a sud del ciclone (extratropicale in questo caso!) che stava portando piogge intense su tutta la penisola; questa porzione di aria fredda si è trovata quindi in una zona in cui i venti erano diventati più deboli e l’aria sopra il mare era molto calda rispetto ad essa, condizioni favorevoli per lo sviluppo del conseguente “medicane”.

È difficile dire già ora se in questo caso specifico i moti verticali siano iniziati solo a causa dell’instabilità data dalla differenza di temperatura tra l’aria a contatto col mare e quella in quota o se sia stato necessaria anche una deviazione del flusso causata dalla particolare conformazione delle coste tra Sicilia e Tunisia; per stabilirlo si richiede uno studio con simulazioni dell’evento variando i parametri fisici per evidenziarne l’importanza. Al di là della causa d’innesco iniziale però il meccanismo di sviluppo concorda con quello indicato nel già citato studio di Cavicchia.

Anche Kerry Emanuel, professore al MIT di Boston e da anni una delle voci più autorevoli nel panorama mondiale per quanto riguarda uragani e sistemi convettivi in generale, ha analizzato un caso di ciclone quasi tropicale mediterraneo e le conclusioni del suo studio (“Genesis and maintenance of Mediterranean hurricanes”,Advances in Geosciences, 2005) sono in accordo con quanto già enunciato; infatti Emanuel afferma che, nonostante le acque del Mediterraneo siano meno calde di quelle degli oceani ai tropici, il passaggio di aria molto fredda e umida in quota può generare un ambiente ideale per uno sviluppo “hurricane-like” del ciclone.

Concludiamo con un’ultima domanda: la frequenza di questi eventi è in aumento? Sempre dallo studio di Cavicchia sembrerebbe di no, anche se la variabilità da un anno all’altro è molto alta e non permette di trarre conclusioni robuste. Pare comunque che per lo sviluppo dei “medicanes” sia più importante la differenza di temperatura con la massa d’aria in arrivo in quota e non la temperatura del mare in sé, che invece riveste purtroppo grande importanza nella quantità di vapore ed energia disponibili per gli altri sistemi perturbati che affliggono in questi giorni le nostre aree prealpine e costiere.





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