SICUREZZA ALIMENTARE/ Una App traccerà il percorso virtuoso dal campo alla tavola

- int. Francesco Marandino

FRANCESCO MARANDINO parla di tracciabilità alimentare e del sistema ValueGo come autentica risposta alla richiesta di sicurezza globale nel settore agroalimentare

penelope2 Il sistema ValueGo applicato alla produzione vinicola

Secondo alcuni studi dell’Eurisko, ci sarebbe un buon 27% della popolazione disposto a spendere un extra price anche del 10% sul costo di base pur di avere informazioni chiare ed elementi distintivi circa la tracciabilità di un prodotto alimentare. È un tema caldo di questi tempi e l’avvicinarsi di Expo 2015, con l’accento posto sulle esigenze alimentari del Pianeta, lo rende ancor più pressante. Tra le iniziative orientate alla sicurezza alimentare spicca Safety For Food, presentato nei giorni scorsi a Milano, al Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci che è anche uno dei partner del progetto. Safety For Food ha  come obiettivo primario la realizzazione di una “banca dati mondiale” dei prodotti agroalimentari che consenta al comparto industriale, agli enti preposti e agli stessi consumatori di ottenere una completa tracciabilità e rintracciabilità delle produzioni, secondo regole e standard internazionali in materia di sicurezza, qualità e origine degli alimenti. Si tratta di una complessa piattaforma tecnologica operata dalla società Penelope con la consulenza di Cisco Italia. Penelope è una società italiana di servizi e consulenza ICT, con ampia esperienza nel settore dell’industria alimentare, che ha sviluppato il sistema di tracciabilità ValueGo – il passaporto digitale dei prodotti agroalimentari – che ora diventa il cuore del progetto Safety for Food. Il progetto affronta con strumenti essenziali l’intero processo di filiera, dal controllo del territorio e della catena di trasformazione, al monitoraggio della distribuzione e della comunicazione verso i consumatori, creando un fil rouge che lega la trasformazione delle materie prime lungo la catena industriale e le informazioni che tali azioni generano. La tracciabilità e la rintracciabilità sono l’unica risposta autentica alla richiesta di sicurezza globale nell’agroalimentare: è questa certezza che ha consentito di riunire intorno a Safety for Food i principali soggetti istituzionali e scientifici nazionali; col CNR, nel ruolo di Advisor Scientifico della Piattaforma, che supervisiona tutti gli aspetti tematici. Ilsussidiario.net ha incontrato Francesco Marandino, Amministratore Unico di Penelope. 

Come vi siete mossi per realizzare questa piattaforma?

Per noi l’aspetto fondamentale, quello sul quale abbiamo concentrato l’attenzione è stata la identificazione dell’intero processo di trasformazione di una materia prima. Ci siamo accorti che alcuni punti di questa filiera sono completamente privi di controllo; o meglio: ci sono dei punti in cui il trasferimento da un elemento a un altro avviene semplicemente con delle “bolle di accompagnamento” e questo è il dato prevalente. Succede quindi che, se io vendo delle zucchine e dico che queste provengono dall’Emilia Romagna vale su tutto questa informazione; il fatto che le zucchine possano essere state coltivate in territori o in aree prive di controllo sanitario è qualcosa che così non si riesce a gestire.

Ci vorrebbe invece un controllo puntuale, capillare, in un contesto di rintracciabilità; che consenta a me come consumatore di sapere non solo da dove viene la zucchina ma come è stata coltivata, con quale acqua, che aria ha respirato; sono questi gli elementi che fanno la differenza tra un processo legato all’analisi e al controllo della sicurezza alimentare e una pratica basata semplicemente su un’etichetta priva di qualsiasi funzione specifica.

 

In questo passaggio dal campo alla tavola quali e quanti attori sono coinvolti?

Possono esserci anche più soggetti coinvolti. Faccio l’esempio di un problema che sta crescendo in Italia ed è legato ai frutti di bosco surgelati: questi finora nel nostro Paese hanno causato circa 2000 vittime di epatite A, perché non si riesce a discriminare effettivamente quale sia il processo di approvvigionamento anche dei piccoli coltivatori dal momento che non esiste alcun fattore distintivo di rintracciabilità su questo tipo di elementi. Allora la sfida qual è? È di abbassare il costo della tecnologia facendo in modo che tutti possano accedervi ma obbligare tutti a rilasciare l’informazione rispetto al dato di origine.

 

Seguire tutti questi attori, anche dal punto di vista tecnico non diventa troppo difficile?

Diventa difficile se non viene fatta bene l’analisi del processo. Noi insistiamo su questo; è la chiave di volta della questione. Se è conosciuto bene il processo, possono esserci anche centinaia di linee di approvvigionamento: si tratta soltanto di strutturarle bene, di essere flessibili nella capacità di poter aggregare ulteriori linee, ma soprattutto di essere intransigenti sulla qualità che deve essere espressa.

 

Quindi l’importante è qualcosa che viene prima della componente informatica e tecnologica…

Assolutamente. Qualcosa che viene molto prima. Quando abbiamo affrontato questo tema, sapevamo che avremmo dovuto interloquire con persone che fanno questo mestiere da tempi immemorabili e gestiscono un prezioso patrimonio di cultura e di know how, che è stato tramandato da comunità a comunità e che si è evoluto nel corso della storia. Allora, immaginare che la tecnologia debba essere invasiva rispetto a processi che hanno quella storia, è improponibile se non si analizza attentamente tutta la filiera e non si valuta l’intero processo dal punto di vista dell’obiettivo funzionale.

 

Qual è questo obiettivo?

Nel nostro caso l’obiettivo funzionale è la sicurezza. e la devo perseguire attraverso l’analisi del processo che porta a quel prodotto, qualsiasi sia la sua complessità. Una volta fatta una corretta analisi, posso applicare tutte le tecnologie disponibili.

E le tecnologie sono adeguate?

Le tecnologie ci sono. Il problema non è Internet o il computer. Il problema è che cosa facciamo fare a Internet e ai computer; altrimenti diventano scatole vuote dove facciamo girare dati che non servono alla crescita e al benessere dell’umanità.

 

Detto questo però quale può essere il contributo dell’Information Technology?

Si può dire che il contributo che può giungere dall’IT è stato rilevante e sarà ancor più determinante d’ora in poi. Ad esempio, tutte le analisi sul campo le abbiamo realizzate con delle strumentazioni che noi stessi abbiamo ideato e ingegnerizzato fino a portarle alla fase industriale. Sono strumentazioni che ci consentono, come nel caso delle produzioni viti-vinicole, di avere un sistema di supporto alle decisioni capace di stabilire ad esempio quale possa essere il quantitativo di acqua da somministrare alle piante prima o dopo  o durante un periodo piovoso. Questa possibilità di bilanciare i dati – che vengono raccolti direttamente sul campo tramite dei sensori – facendo la comparazione con le serie storiche, ci consente di avere un cruscotto intelligente da mettere a disposizione del produttore per consentirgli di fare certe scelte di qualità.

 

Un partner di primo piano nell’IT come Cisco che ruolo ha avuto?

 È stato determinante. Ha potuto amplificare il nostro brevetto, cioè il sistema ValueGo, che inserito nell’infrastruttura Cisco e potenziato dalle sue capacità tecnologiche e dalla sua presenza a livello mondiale, ha reso la nostra proposta fortemente competitiva.

 

Lo strumento che avete messo a punto è facilmente accessibile a chiunque?

 Certamente. È un’App, che abbiamo già realizzato; e a tutte le aziende che la implementano rilasciamo una serie di funzioni allegate che servono alla valorizzazione dei dati. È vero infatti che qui parliamo di safety ma dobbiamo guardarla anche come la capacità da parte del produttore di poter dire al mondo che ha fatto una scelta di trasparenza sulle sue produzioni. Con un evidente ritorno anche dal punto di vista di immagine e di conseguenza commerciale.





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