Formula 1/ Sochi, il solco della Mercedes (Gran Premio di Russia)

- Massimo Piciotti

Formula 1, Gran Premio di Russia: l'analisi di MASSIMO PICIOTTI sulla quarta gara stagionale della stagione 2016. Un altro dominio Mercedes, quarta vittoria in fila per Nico Rosberg

Rosberg_Rolex Foto Infophoto

Ci possiamo ancora attaccare alla sfortuna, forse l’unica vera magra consolazione del week-end di Sochi e di una gara che sembra aver riportato l’orologio della Formula Uno indietro di ventiquattro mesi. Possiamo, anche giustamente, scagliarci contro la scriteriata manovra di Kvyat – al secondo speronamento consecutivo ai danni di Vettel – che ha di fatto messo fuori gioco il campione tedesco quando le danze, in pratica, non erano ancora iniziate.

Possiamo appellarci alla sua inesperienza, alla sua incoscienza e forse all’eccitazione che ha preso il giovane pilota russo alle prese con il “proprio” pubblico e con l’opportunità di correre di fronte agli occhi severi ed interessati di Vladimir Putin la cui ingombrante presenza è stata puntualmente ed insistentemente sottolineata dalla regia russa. Insomma, per scomodare il grande Julio Velasco – i cui contributi sulla “teoria degli alibi” vi consiglio di andare a cercare sul web perché, oltre che assolutamente godibili e  divertenti, sono decisamente illuminanti – possiamo tirare in ballo tutte le giustificazioni possibili ed immaginabili.

Ma la netta sensazione che emerge dal Gran Premio di Russia è che in realtà, quali che siano stati i proclami e le attese di inizio stagione in casa Ferrari, la distanza fra la Mercedes e tutti i suoi rivali nel Campionato rimane marcata e decisa, come un solco scavato nella roccia che non si riesce a cancellare, come una frattura in una strada provocata da un terremoto, come il tentare di raggiungere l’altra sponda di un fiume attraverso un ponte crollato.

Lo sapete, ormai, io sono un appassionato di corse che scrive per diletto più che un freddo analizzatore della situazione e quindi tendo forse a lasciarmi prendere dalle sensazioni del momento, a considerare “l’ultima cosa accaduta” come troppo indicativa e, quindi, a passare dall’entusiasmo al pessimismo troppo velocemente, come ogni tifoso che si rispetti.

Ma c’è un fatto accaduto durante la gara che mi ha fatto preoccupare più di altri. E non si tratta della ennesima pole position della Mercedes, della gara condotta con facilità al comando, dell’affidabilità che le frecce d’Argento sembra abbiano ritrovato e, perfino, nemmeno della maturità ormai conclamata di Nico Rosberg che sembra avere passato finalmente – soprattutto nella sua mente – il confine tra l’ottimo pilota ed il campione.

Quello che penso sia più indicativo di tutti è il giro più veloce staccato da Rosberg nel penultimo giro della gara. Vi chiederete il perché, forse. In fondo, in un simile trionfo il “fast lap” è poco più che una notazione statistica. Ma ripercorriamo come è andata: Nico Rosberg veleggia sicuro al comando della corsa, con un rassicurante vantaggio sull’ex-caposquadra Lewis Hamilton che ha ormai tirato i remi in barca. Ha fatto una sola sosta e viaggia con le gomme soft ormai usurate da diversi giri.

Felipe Massa, comodamente quinto con quasi un minuto di vantaggio sul sesto – che per la cronaca è il finalmente sorridente Fernando Alonso con una McLaren-Honda che dà segnali di ripresa – si ferma ai box per una sosta apparentemente inutile e mette le supersoft. Obiettivo evidente: strappare il giro più veloce, soddisfazione platonica ma pur sempre sentita al pilota della Mercedes. Il brasiliano con gomme fresche e superveloci stacca così un 1′ 39″ 7, un tempo non banale che, per capirci, è meglio di tre decimi del migliore di Raikkonen e addirittura di mezzo secondo dal migliore di Hamilton.

Alla radio avvertono Rosberg, il quale potrebbe tranquillamente soprassedere. Ed invece il tedesco, che ha raggiunto una sicurezza dei propri mezzi a lui sconosciuta prima d’ora e che da diverso tempo girava tranquillo sul piede dell’ 1′ 42″, usa due giri per “riprendere il ritmo” e poi piazza un 1′ 39″ e zero impressionante. Un tempo “inutile”, non richiesto, non necessario. Credo che questa sia una dimostrazione di forza che suona per gli avversari come un pugno da knock-out per un pugile.

La macchina e l’uomo – ovvero la Mercedes e Rosberg – sembrano in questo momento di un’altra dimensione, capaci di togliere un secondo al giro alla propria velocità di crociera appena ciò si rende necessario – e perfino quando necessario non è – o quando un avversario si avvicina troppo.

Il problema per la Ferrari non è quindi in ultima analisi la sfortuna – oggettiva, per carità – del sempre ottimo Vettel o la mancanza di “quel qualcosa in più” del glaciale Raikkonen, ma la forza degli avversari che, nel momento in cui sembra siano sul punto di essere raggiunti, scappano ancora in avanti. Pessimismo? Forse. Sarà il tempo a dirlo e, nel caso, sarò il primo ad essere contento di sbagliarmi…





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