DALLA CINA/ Lao Xi: vi spiego perché Monti deve “salvare” Berlusconi

- Lao Xi

Ora che Silvio Berlusconi ha fatto un passo indietro e che il berlusconismo si avvia alla chiusura è necessario che il Paese si confronti senza paura con questa eredità. L'opinione di LAO XI

BerlusconiFestaPdlR400 Silvio Berlusconi (Imagoeconomica)

Ora che il capo del governo italiano, Silvio Berlusconi, ha annunciato un passo indietro e che l’Italia sembra avviata alla fine del lungo periodo di berlusconismo, è necessario che il Paese si confronti prima possibile con l’eredità del Cavaliere. La cosa più disastrosa sarebbe infatti quella di chiuderla nel dimenticatoio dei sogni rimossi, che poi ritornano, lo insegna Freud, come incubi.

Berlusconi non è stato un incidente di percorso di un’Italia tanto diversa, un virus estraneo che è arrivato e ha attaccato un corpo sano. Il berlusconismo è un gene profondo dell’Italia, insieme altissimo e infimo, come lo sono i racconti del Decameron di Boccaccio, o il romanzo erotico morale cinese Jin Ping Mei (si veda anche la splendida resa in inglese di David T. Roy). Entrambe, la letteratura in generale e la storia politica di Berlusconi sono intrise di verità e pattume intimamente legate l’uno all’altro, come lo è tanta parte della vita, in una fragile e quasi mistica congiunzione alchemica.

Inoltre come il Decameron cantava l’arrivo al potere e l’affermazione di una nuova classe mercantile, così il Jin Ping Mei avvertiva l’arrembaggio di nuovi mercanti (Ximen Qin, il protagonista, è un farmacista imprenditore) che scuotevano l’ordine sociale e politico della dinastia Ming, in attesa di essere travolta dalla insurrezione contadina di Li Zicheng e dall’invasione dei mancesi. Era una lotta di e fra varie classi imprenditrici. In Cina c’erano i nuovi affaristi rampanti contro i mandarini, rappresentanti del potere e dell’ordine antico. Allo stesso modo i rampanti, maleducati berlusconiani hanno rotto la diga dei vecchi educatissimi “poteri forti” o “salotti buoni”. Ma ieri come oggi sono i rampanti Ximen Qin o i Brambilla della “bassa” (si dice così, no?) che rappresentano il nuovo e la forza vitale dell’Italia.

Rimane un mistero come Berlusconi stesso non abbia visto egli stesso la profondità della sua vita politica, ma abbia sempre scelto solo di difendersi sul piano minore, della calunnia, dell’insulto, abbassando il livello dello scontro e non alzandolo. Comunque sia, oggi è finita ma per chi lo seguirà, chiunque sia, occorre pensare e contabilizzare politicamente il valore profondo del berlusconismo e su questa base pensare a un percorso di riconciliazione nazionale profonda, che eviti i decenni di sterili dispute fascismo e antifascismo, guelfi e ghibellini, o più concretamente Roma-Lazio, Inter-Milan.

Il sogno del berlusconismo meriterebbe un saggio lungo e approfondito, ma una spruzzata di accenni vale la pena. Berlusconi ha rappresentato il sogno delle piccole e medie imprese di uscire dall’ombra delle grandi imprese statali o parastatali. Era il sogno dei milioni di cittadini-imprenditori italiani (da secoli sale della Penisola) di assurgere a un ruolo più alto di quello assegnatogli dai poteri grandi o piccoli della burocrazia statale o dalle sue grandi clientele. Dietro lo slogan Forza Italia c’era l’ambizione vera di una “super Italia” fatta da gente che è riuscita a sopravvivere e prosperare contro mille difficoltà e che ha visto e vissuto per decenni lo Stato non come un aiuto ma un ostacolo.

Come ha detto il 9 novembre Piero Ostellino su questo giornale, “siamo un Paese bloccato dalle corporazioni e dai gruppi di interesse. Poi per la carenza di mercato e per l’eccesso di leggi, divieti e regolamenti. In Italia tutto si oppone al cambiamento, spesso anche la stessa società”. Contro questo Berlusconi era visto come la soluzione, ma – come continua Ostellino – “Il Cavaliere, però, cura la sua immagine e ha il vizio di voler piacere. E così ha venduto le riforme che aveva promesso ai Gattopardi, sacrificando il cambiamento alla propria vanità”.

Chiunque seguirà Berlusconi non può dimenticare questa sua spinta di origine, al di là dei suoi tanti peccati. Questa spinta è ancora forte e vitale nel momento in cui, nonostante l’annuncio delle sue dimissioni, i tassi di interesse sulle obbligazioni decennali hanno sfondato la quota di sicurezza al 7%, attestandosi ieri a un rischiosissimo 7,41%. In altre parole, i mercati hanno detto che l’uscita di Berlusconi non è la fine di tutti i mali, quindi tanto più occorre recuperare e conservare quello che di forte prometteva il berlusconismo.

Questo per quanto riguarda l’orizzonte politico italiano, ma esso non funziona affatto senza l’orizzonte politico europeo. La Germania e la Francia hanno ottenuto quello che volevano da Grecia (niente referendum sulle misure di salvataggio europee) e Italia (dimissioni di Berlusconi), ora però devono proporre qualcosa di costruttivo, non più semplici negazioni di piani altrui. Devono offrire un credibile scenario di unità politica, l’unica cosa che davvero possa mettere in sicurezza l’euro. Per questo non c’è una quantità infinita di tempo, mentre il mondo traballa sull’orlo di una recessione globale e l’euro non si sa più chiaramente cosa sia (auguriamoci che non siano profetiche le subito esecrate esternazioni di Berlusconi di una decina di giorni fa). Per questo occorrono idee nuove da proporre rapidamente.

In questo l’Italia ha un capitale importante. Mario Draghi, governatore della Bce, è di fatto già il primo leader della Europa del futuro. La sua Bce è già protesa verso l’unità politica. Anche lì però servono idee per trasformare una unità geografica in un’unità politica. Senza di questo la finestra di opportunità di oggi si trasformerebbe in un gorgo che ingoia tutto, per cui sarebbe valsa la pena di seguire i cinici e crudeli consigli del dittatore nord coreano Kim Jong-il.

Invece occorrerebbe trovare uno spirito davvero di unità nazionale capace fare uscire il paese dalla crisi attuale e di confrontarsi con tedeschi francesi per contribuire in modo attivo al processo politico necessario all’euro. Ciò forse andrebbe cercato al di là degli schieramenti e delle facili contrapposizioni, aprendo una pagina con pensieri e uomini davvero nuovi per l’Italia. Vien da chiedersi se Pierferdinando Casini, Antonio Di Pietro, Nichi Vendola, Gianfranco Fini e Pierluigi Bersani siano all’altezza di questo compito. Nel concreto infatti chi è stato a far cadere Berlusconi? 

Non l’opposizione ma i mercati internazionali, i quali non hanno guardato tanto ai numeri dell’Italia ma alla sua politica, di cui non si fidavano. Chi c’è dietro i mercati? Tanti agenti, ma per semplificare ed esemplificare ci sono due leader conservatori europei, Merkel e Sarkozy, che non si fidano di Berlusconi ma non si fidano nemmeno dell’opposizione di sinistra, che in tanti anni non è riuscita a scalzare il Cavaliere. Quindi questo non è solo il fallimento di Berlusconi ma di tutta la politica italiana.

L’unico passaggio pratico, quindi, è quello di un governo che abbia l’approvazione franco-tedesca e sia più lontano possibile dalla vecchia politica. Ciò di fatto significa un governo Monti con una compagine tutta fresca. Se Monti non ce la farà, è molto probabile che comunque le montagne russe dei mercati continueranno per molto tempo.





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