SCIENZ@SCUOLA/ Quale formazione per affrontare gli studi scientifici?

Le dimensioni formative fondamentali per affrontare le facoltà scientifiche: buone conoscenze logiche e matematiche di base e attitudine a inserire le conoscenza in quadri unitari.

Redazione_68_00_apertura-conversazione_720x495_ok Formazione scientifica

Tre professori universitari, docenti nei corsi del primo biennio, considerano le difficoltà incontrate dalle matricole nello studio delle discipline scientifiche e individuano le principali esigenze formative alle quali la scuola secondaria superiore dovrebbe rispondere.
Sono fondamentali: una buona preparazione logico matematica, una padronanza della matematica di base, una attitudine a superare ogni schematismo concettuale e metodologico; unitamente a una visione culturale ampia e alla capacità di inserire le conoscenze in quadri unitari.

 

In vista degli esami di maturità si ripropone il tema di valutare il tipo e il livello di preparazione degli studenti in relazione ai diversi corsi di studio universitari che poi andranno a frequentare. 

È nelle facoltà tecno-scientifiche che più spesso affiorano problemi legati ai limiti o alla particolare impostazione dell’insegnamento della matematica e delle scienze sperimentali nella secondaria superiore.
Ci si può chiedere allora se la preparazione degli studenti delle nostre scuole superiori sia adeguata per affrontare gli studi universitari nelle facoltà scientifiche e tecniche. E come si spiegano le difficoltà spesso segnalate dalle matricole e avvertite dai docenti dei corsi universitari dei primi anni?
Una risposta approfondita a questi interrogativi può fornire utili indicazioni per un insegnamento delle discipline scientifiche che sia sempre più all’altezza delle reali esigenze educative delle persone e che consenta allo studente di poter affrontare diversi percorsi di formazione e specializzazione.
A tale scopo la redazione di Emmeciquadro ha interpellato tre professori universitari di tre aree diverse, impegnati nei corsi del primo biennio: ne è nata una interessante conversazione che qui riportiamo.
I docenti convocati sono:

  1. Marco Bramanti, Professore Ordinario di Analisi Matematica presso il Politecnico di Milano – Dipartimento di Matematica, insegnante di Analisi Matematica nel primo biennio della Laurea in Ingegneria Elettronica;

  2. Paolo Tortora, Professore Ordinario di Biochimica presso l’Università degli Studi di Milano Bicocca – Dipartimento di Biotecnologie e Bioscienze, docente dei corsi fondamentali di Biochimica per la laurea in Biotecnologie;

  3. Giuseppe Gorini, Professore ordinario di Fisica sperimentale presso l’Università degli Studi di Milano Bicocca – Dipartimento di Fisica, insegnante dei corsi fondamentali di Fisica per le lauree in Fisica e in Scienze Ambientali.

 

 

Quale tipo di formazione e di preparazione ritiene necessaria alle matricole delle lauree scientifiche? Quali sono gli aspetti che trova più carenti e che creano difficoltà a chi affronta gli insegnamenti del suo corso di laurea?

Bramanti. Premetto che il mio punto di osservazione è abbastanza privilegiato. Insegno da tanti anni a studenti del primo biennio di Ingegneria Elettronica. Le loro provenienze sono le più diverse in termini geografici, molto più omogenee invece riguardo al tipo di scuola frequentata (la stragrande maggioranza proviene da un liceo scientifico o da un ITIS elettronico, una minoranza proviene in modo assortito dagli altri licei), ma comunque il livello medio, quanto a preparazione e a buona volontà, è discreto.
Si capisce meglio ciò che è necessario quando lo si vede mancare, perciò per rispondere alla prima parte della domanda incomincio dalla seconda. Gli aspetti su cui vedo difficoltà, su cui un livello più alto in partenza farebbe la differenza, sono principalmente tre.
In primo luogo una padronanza solida della matematica di base.
Non, quindi, l’Analisi matematica che si insegna all’ultimo anno dei licei e che invece devo insegnare io, sia pure in modo più approfondito. Piuttosto, ciò che viene prima: trigonometria, logaritmi ed esponenziali, manipolazioni algebriche, e soprattutto un certo buon senso algebrico nel capire, in vista di uno scopo, quando è il caso di sviluppare e quando di fattorizzare, eccetera. Cose che si imparano se gli esercizi algebrici fatti a scuola hanno degli obiettivi e non sono fini a se stessi.
In secondo luogo la disponibilità a imparare qualcosa di nuovo anche nel metodo, non solo nel contenuto.
Lo studente che ha più difficoltà cerca di difendersi tenendosi stretto il «metodo già ben rodato», e al docente universitario che propone una strada nuova o alternativa, «chiede il permesso» di continuare a fare come ha imparato a scuola (Si può fare anche così? chiede). Sembra che ci sia un prevalere degli schemi fissi rispetto al cercare volta per volta la strada migliore. Che non è creatività – saper risolvere un problema – ma qualcosa di molto più spicciolo, ma per me cruciale: capire che una strada non è solo giusta o sbagliata, ma che, anche se non è sbagliata, può essere più o meno adeguata, lineare o tortuosa.
Quando è più complicata del dovuto quasi sempre conduce all’errore. Lo studente tende a banalizzare i propri errori (… sono distratto) e a imparare poco da essi. All’università c’è poca occasione di lavorare personalmente con gli studenti, ma i docenti di scuola che possono seguirli più personalmente dovrebbero aiutare ciascuno a rendersi conto di quali modi di procedere inducono all’errore e quali proteggono dall’errore.
Infine l’attitudine a considerare la matematica una materia teorica, che richiede quindi studio e comprensione critica, non solo esercizio, esercizio, esercizio.
L’impatto più impegnativo che lo studente del primo anno ha in un corso di matematica universitaria è «quanta teoria!» e «come si fa a ricordare la dimostrazione di un teorema?», come se fosse un problema di memoria.
C’è una mancanza di abitudine allo studio della matematica. In realtà lo studente, arrivato in università, normalmente capisce in fretta che deve cambiare marcia e se è responsabile si dà da fare. Ma il rischio è che, quando il lavoro teorico di studio personale è una nuova esperienza rispetto all’abitudine scolastica precedente, questo lavoro rimanga separato dalla parte più pratica e operativa (esercizio).
Il grosso della fatica che faccio come docente è cercare di trasmettere il nesso tra la teoria e la pratica. L’aspetto dello studio teorico si intreccia alla necessità della logica, all’uso corretto del linguaggio, e così via, cose fondamentali che non si pongono neppure come tema finché non c’è una seria esperienza di studio.
Se potessi cambiare la scuola, direi ai docenti: insegnate meno argomenti, ma quei pochi fateli studiare e capire in modo critico.

Tortora. In linea di principio, ciò che sarebbe prioritario come conoscenza di base perché uno studente di scuola superiore sia in grado di affrontare efficacemente un percorso scientifico universitario è la conoscenza della matematica e della logica.
Effettivamente mi risulta esistano corsi di laurea scientifici a carattere non matematico, che hanno introdotto un test di ingresso basato esclusivamente su questi elementi, che definirei capacità, prima ancora che conoscenze. Non è peraltro il caso del mio Corso di Laurea in Scienze biologiche.
Questa mia valutazione è basata su tre fattori.
Il primo è che nel percorso universitario previsto per una disciplina scientifica i dati conoscitivi sono forniti a partire dai più basilari, come se la matricola, all’inizio di detto percorso, non sapesse nulla in merito ai relativi contenuti.
Il secondo è che, ciò non di meno, alcune conoscenze matematiche sono comunque presupposte, sia pur a un livello piuttosto elementare (parlo in particolare della trigonometria e della geometria analitica).
Il terzo, e a mio parere ben più importante fattore, è che la matematica è per antonomasia la «palestra» in cui sviluppare la capacità logico-critica, che è uno dei requisiti più determinanti per intraprendere con successo un percorso formativo in ambito scientifico.
Ciò detto, devo anche riconoscere che il possesso di conoscenze pertinenti ai contenuti specifici di un Corso di Laurea all’inizio del percorso universitario non è certo irrilevante. Un mio collega mi ha fatto notare che un test di ingresso basato esclusivamente su matematica e logica deprezzerebbe sostanzialmente gli sforzi di molti bravissimi insegnanti di scuola superiore che impartiscono agli studenti conoscenze molto avanzate nell’ambito biologico (come per esempio genetica, biochimica, biologia molecolare).
Questa osservazione mi offre lo spunto per introdurmi a un altro ordine di riflessioni, che è anch’esso strettamente attinente alla domanda a cui sto tentando di dare risposta.
Un’altra qualità indispensabile per intraprendere con buon successo un percorso scientifico universitario è la nascita di una attrattiva verso un certo ambito conoscitivo, e ciò può ovviamente accadere solo se lo studente ha avuto qualche opportunità di familiarizzarsi con esso.
È di mia conoscenza (e, sono certo, anche di molti miei colleghi) il fatto che molti studenti abbiano intrapreso un determinato percorso universitario semplicemente spinti dal fascino che un bravo insegnante aveva loro suscitato per la propria disciplina. Si tratta quindi di un elemento antropologico, piuttosto che strettamente intellettuale, ma che ha un impatto non meno sostanziale sull’esito del percorso universitario.
Non ha molta probabilità di successo lo studente che vive la propria condizione semplicemente in vista del riconoscimento istituzionale, piuttosto che nell’intento di costruire qualcosa di significativo per se stesso e per gli altri.

Gorini. Una adeguata formazione logico/matematica è indispensabile perché lo studente sia in grado di seguire e fare proprie le argomentazioni quantitative presenti in qualsiasi ambito disciplinare propriamente scientifico.
L’esperienza dimostra che non tutte le lacune sono egualmente colmabili con lo studio quando si arriva in università. Ci sono studenti con evidenti carenze ed è praticamente impossibile recuperare in un mese o anche un anno quanto non è stato fatto nei cicli di apprendimento precedenti.
Un secondo ma non meno importante aspetto della preparazione è la capacità di rapportarsi alla realtà. Con questo intendo la capacità di descrivere/analizzare una situazione concreta e riconoscerne i fattori costitutivi. Saper leggere la realtà è il compito della scienza sperimentale. Purtroppo il rapporto con la realtà degli studenti attuali avviene prevalentemente tramite lo schermo di un telefono e questo non aiuta.
Le carenze in questi due ambiti creano difficoltà talvolta insormontabili. Si riscontrano sicuramente carenze anche di altra natura (per esempio la capacità di gestire e organizzare il proprio tempo) ma le carenze in ambito logico/matematico e analitico sono quelle più deleterie.

Tortora. Vorrei completare questa mia risposta focalizzandomi anche sulla seconda parte della domanda Quali sono gli aspetti che trova più carenti e che creano difficoltà a chi affronta gli insegnamenti del suo corso di laurea?
Fermi restando gli elementi che ho prima delineato, ne individuo un altro di primaria importanza: una carenza molto frequente negli studenti è la mancanza di una visione unitaria tra le diverse discipline che compongono il loro percorso formativo. Un rischio sempre incombente è che lo studente impari ogni «pacchetto» di conoscenze come fosse un’entità a se stante, perdendone così una reale comprensione.
Credo che chi ha una responsabilità formativa dovrebbe riconoscere l’importanza sostanziale di questa dimensione dell’apprendimento, tenendone conto nel delineare un percorso didattico. Anche in questo caso il problema non è legato al possesso di uno specifico bagaglio di conoscenze, ma piuttosto di come le si sa manipolare, riconducendole a una visione organica.
Anche da studente avevo percepito l’importanza di questa dimensione del percorso conoscitivo, e quando preparavo un esame tenevo sul tavolo i libri che avevo utilizzato nella preparazione degli esami sostenuti in precedenza (compresi quelli propedeutici), per cogliere tutti i possibili nessi e inserire le nuove conoscenze in un quadro complessivo.
Se mi è consentito fare un esempio riguardante la mia personale attività didattica, vorrei menzionare che quando insegno uno specifico fenomeno metabolico esorto gli studenti a porsi preliminarmente le domande: in che organismo avviene? In quale organo? In quale compartimento intracellulare? In quale scenario fisiologico?
In mancanza di chiarezza in merito a questi aspetti, anche la conoscenza dei dettagli del fenomeno in questione diventa irrilevante. Si tratta di contestualizzare le conoscenze acquisite, che è uno degli esiti più importanti e al contempo l’indice diagnostico di una raggiunta visione unitaria della disciplina.

 

Quali possono essere i vantaggi e quali gli eventuali svantaggi di una preparazione culturale ampia, diciamo di tipo «umanistico»? Quali invece i vantaggi e gli eventuali svantaggi di una formazione più specialistica, che doti gli studenti di una buona padronanza, sul piano operativo, di strumenti tecnici (ad esempio informatici) e di procedure sperimentali?

Gorini. Una preparazione «umanistica» non è sempre adeguata dal punto di vista del bagaglio matematico a disposizione dello studente che entra in università. Tuttavia è ricca dal punto di vista logico e analitico e quindi è, almeno da questo punto di vista, una base di partenza adeguata per affrontare una laurea.
Strumenti culturali più operativi come l’informatica di base e la lingua inglese dovrebbero essere parte del bagaglio di uno studente quanto il saper leggere e scrivere in italiano. Non vanno assolutamente trascurati. Sono complementari, e non alternativi, alla preparazione «umanistica».
Per quanto riguarda le procedure sperimentali credo che siano una esigua minoranza gli studenti che utilizzano il metodo sperimentale nel corso della scuola superiore di secondo grado. Sarebbe bellissimo che accadesse che uno studente impari a fare una misura che non sia leggere un numero su un display di uno strumento.
Il concetto di errore di misura è poco insegnato e ancor meno praticato. Più frequentemente gli studenti imparano a ripetere delle procedure operative che, correttamente eseguite, consentono di raggiungere il risultato desiderato.
Questo tipo di competenze è di utilità limitata, soprattutto quando non è coinvolta la creatività del soggetto.

Bramanti. I vantaggi di una preparazione culturale ampia, di tipo umanistico, direi che per definizione non sono vantaggi in senso utilitaristico. Che lo studente abbia interessi ampi e sia sensibile su tanti fronti, è un arricchimento della persona anzitutto. Che può portarlo, in particolare, anche ad avere una maggior sensibilità al fatto che studiare la matematica, o la fisica, o l’elettronica, non è imparare ricette ma capire idee e problemi.
L’approccio globale, per idee, proprio dello studio umanistico, credo possa creare una giusta e sana curiosità di significati globali anche nello studio delle materie scientifiche che può rendere più ricettivi al lavoro specifico che queste materie richiedono.
Nella mia materia, molto teorica, non c’è una grande esigenza di padronanza di strumenti informatici e per nulla di procedure sperimentali. La padronanza informatica dello studente medio è più che sufficiente, quindi su questo non ho da dire di più.

Tortora. Ho riflettuto a lungo su questa domanda, ma non sono riuscito a trovare alcuna controindicazione verso una preparazione culturale ampia. Questa domanda mi offre l’opportunità di sviluppare una riflessione su un’ulteriore dimensione implicata nel percorso conoscitivo: la creatività.
In fondo, le qualità di un bravo studente sono le stesse di un bravo ricercatore; pertanto la creatività si aggiunge alle altre due che ho menzionato rispondendo alla prima domanda (capacità logico-critica e coinvolgimento personale nell’approfondimento della conoscenza).
Ora, fermo restando che tra diversi esseri umani le dotazioni naturali possono presentarsi in origine in grado diverso, è a mio parere indubitabile che ciò che favorisce in massimo grado lo sviluppo della creatività è un percorso formativo che, nella misura del possibile, porti la persona ad approfondire di tutto. Con ciò intendo letteralmente ogni dimensione e aspetto del sapere, non solo quelli scientifici, e pure nell’ambito di quelli scientifici l’approfondimento di scienze diverse da quelle che sono oggetto dello specifico percorso dello studente.
Una visione ampia della realtà dà alle persone gli strumenti per immaginare di fronte ai problemi soluzioni che non sono immediatamente ovvie o conseguibili mediante un approccio meramente meccanico.
In una famosa disputa con Edison, Einstein diceva: «Non è molto importante per una persona apprendere i dati. Per questo in realtà non vi è bisogno dell’Università: sono sufficienti i libri. Il valore di un’educazione in una scuola di arti liberali non consiste nell’apprendere molti dati, ma nell’addestrare la mente a pensare qualche cosa che non si può apprendere dai libri di testo».
Sulla stessa linea di pensiero posso dire, a titolo di testimonianza personale, che molto dell’affinamento degli strumenti didattici che ho sviluppato a beneficio degli studenti, è dovuto alle domande che i più brillanti tra di essi mi hanno posto nel corso degli anni, facendomi pensare ad aspetti ai quali da solo non avevo pensato. Anche questo contributo è il prodotto di un approccio creativo, sia pur relativo all’apprendimento.
Queste considerazioni non intendono affatto screditare l’importanza di una preparazione specialistica. Intendono invece mettere in evidenza l’importanza prioritaria di una formazione di base aperta alla totalità. Questa è il fondamento su cui qualsiasi formazione specialistica può essere edificata, e in mancanza del quale risulterebbe gravemente depotenziata.
Naturalmente un laureato, o laureando, prima o poi dovrà dedicarsi a un’area specialistica del sapere e delle sue applicazioni pratiche, ma questo percorso più specificamente orientato potrà essere intrapreso con maggiore o minore efficacia a seconda della solidità delle basi su cui detta preparazione specialistica è stata edificata.

Bramanti. Vorrei aggiungere qualche mia considerazione sull’esame di Stato, che dovrebbe verificare il livello di preparazione così come l’abbiamo qui delineato.
Ritengo che lo status della prova scritta di matematica dell’esame di Stato dei licei scientifici, com’è negli ultimi anni, soffra di una contraddizione logica: da un lato le indicazioni nazionali che (per fortuna!) tratteggiano per linee generali metodi e contenuti, lasciando apparentemente grande libertà al docente; dall’altro un tema d’esame deciso centralmente per tutta Italia.
Come se ne potrebbe uscire? Avvicinando un po’ questi due poli opposti: un minimo di dettaglio in più nelle indicazioni nazionali, che specifichi dei contenuti minimi, e lasci scelta su un’altra rosa di argomenti; e un tema d’esame che verta solo su quei contenuti minimi, con due ulteriori possibilità: o che una parte del tema d’esame sia uguale in tutta Italia e riguardi quei contenuti minimi mentre un’altra parte sia decisa da ogni scuola o docente e tenga conto di quanto svolto effettivamente anche in più, oppure semplicemente che si accetti il fatto che l’esame di Stato non verifica tutto il lavoro fatto in un anno, e che non si va a scuola e non si studia solo per passare l’esame (come per altro già avviene per tutte le materie che non escono alla maturità).
Riguardo al taglio del tema d’esame, e quindi dell’insegnamento a scuola, non mi convince quello degli ultimi anni per problemi pratici. Mi sembra che l’aspetto modellistico, l’affronto di problemi reali, e le discussioni critiche conseguenti, per loro natura facciano parte di quel qualcosa in più che può fare ogni docente in aula, ma non è facilmente oggetto di verifica formale con un tema deciso centralmente.
La verifica formale dovrebbe vagliare e premiare le conoscenze e abilità di base su cui lo studente realmente fatica: geometria analitica, derivate, integrali…

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a cura della Redazione di Emmeciquadro

 

© Pubblicato sul n° 68 di Emmeciquadro







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