E' una notizia bomba quella che ieri ha scosso le redazioni milanesi dei giornali: Guido Podestà si dimette da presidente della provincia. Poi la retromarcia. Ne parla ANSELMO DEL DUCA
Cosa resta della giornata surreale che si è vissuta intorno alle dimissioni di Guido Podestà dalla presidenza della provincia di Milano, dimissioni prima annunciate e poi ritirate?
Troppo facile liquidare la vicenda come un misunderstanding, una incomprensione, fra il politico ed il suo addetto stampa come farebbe intendere un fuori onda visibile sul sito di Repubblica.it. L’annuncio a ora di pranzo era di quelli perentori: “Alle 16 conferenza stampa per spiegare le ragioni delle mie dimissioni”, pompato dall’uomo immagine del presidente della provincia anche via Twitter.
Nel giro di tre ore cambia tutto, e di dimissioni in conferenza stampa non c’è traccia. Facile supporre che dietro le quinte Podestà sia stato investito da un diluvio di telefonate e di richiami, venuti anche dai massimi vertici del PDL nazionale. Del resto, Podestà non è un esponente qualsiasi del partito berlusconiano. E’ stato a lungo europarlamentare, è stato coordinatore regionale prima di Forza Italia e poi del PDL, è da sempre uno degli uomini più vicini a Silvio Berlusconi.
Ma nell’arco di tre ore, dall’annuncio alla smentita, si sono rincorse le voci più strane. La prima è che dietro la possibilità che Podestà gettasse la spugna vi fosse una ragione giudiziaria. Ipotesi scatata, pare, anche se l’interessato proprio in conferenza stampa ha ribadito: “Se fossi rinviato a giudizio per la vicenda delle firme false per la lista regionale in Lombardia, non mi dimetterei”.
L’altra ragione ritenuta plausibile – in un primo momento – da parte degli addetti ai lavori era la volontà di porsi nelle condizioni di avanzare una candidatura per il parlamento. Il termine ultimo per gli amministratori locali per dimettersi onde potersi candidare (nel caso di voto a scadenza naturale della legislatura è infatti ormai agli sgoccioli.
Qualunque fosse la ragione che aveva spinto Podestà a ipotizzare le proprie dimissioni, è chiaro che gli è stato chiesto, o forse sarebbe meglio dire imposto, di rimanere seduto sulla poltrona che occupa attualmente. E’ vero che il suo incarico è ormai in scadenza, e che tra poco più di un anno, all’inizio del 2014, dovrà cedere il passo alla costituzione dell’area metropolitana. E’ vero però che nel frattempo quella poltrona è troppo strategica, perché la Provincia di Milano è una delle più ricche d’Italia e vanta un portafoglio eccezionale di partecipazioni azionarie soprattutto nel settore autostradale, e solo da quella postazione si può fare argine, insieme alla Regione formigoniana, nei confronti della giunta comunale di Giuliano Pisapia e del suo ritrovato protagonismo nel campo economico, guidato dall’iperattivo assessore al bilancio Bruno Tabacci, una vecchia volpe democristiana che la sa lunga.
E allora Podestà per ordini superiori deve rimanere a presidiare la trincea di Palazzo Isimbardi, mettendo da parte le sue velleità di approdare a Montecitorio. Forse questa lettura dei fatti è più realistica rispetto a quella ufficiale fornita dallo stesso presidente non-dimissionario, che parla della difficoltà di governare un ente locale oggi, nelle condizioni imposte da questo momento di crisi economica e di spending review. Le difficoltà sono infatti comuni a migliaia di amministratori, ma di dimissioni in giro per l’Italia non se ne vedono, da Nord a Sud.
Per il PDL in un momento delicatissimo, nel quale il suo leader ha cominciato ad imprimere una nuova sterzata con l’annuncio del passo indietro l’imperativo è non farsi prendere la mano, neppure dalle ambizioni personali, ed evitare fughe in avanti o twit di cui pentirsi un attimo dopo. Podestà, fedelissimo di Arcore, ha risposto sì all’appello. Bisognerà verificare se altri amministratori locali la penseranno allo stesso modo. Ne va del peso contrattuale del partito berlusconiano al tavolo della possibile (ma non proprio probabile, al momento) coalizione dei moderati italiani.
