In Nigeria un altro sacerdote è stato ucciso da un commando mentre tornava a casa. La violenza, però, non ferma la testimonianza dei cristiani
“Profondamente sconvolto, con dolore e tristezza ma con totale sottomissione alla volontà di Dio Onnipotente e ferma speranza nella risurrezione dei morti, che vi informo della tragica morte di un altro nostro fratello, don Matthew Eya”. Queste sono le parole di monsignor Cajetan Iyidobi, cancelliere della diocesi di Nsukka in un messaggio rivolto ai fedeli. Oltre alla professione di fede cristiana presente nel testo, si apprende la notizia dell’assassinio di un sacerdote, don Mattehw, l’ennesima vittima della persecuzione in Nigeria, che sembra non conoscere tregua.
L’uccisione dei sacerdoti ricorda, alla chiesa europea, quanto successo nel 2016 a padre Jacques Hamel a Parigi; in quel caso il sacerdote era stato assassinato mentre celebrava la Messa. Un “uomo buono, mite, di fratellanza, che sempre cercava di fare la pace, è stato assassinato come se fosse un criminale. Questo è il filo satanico della persecuzione” (Francesco).
In Nigeria purtroppo l’uccisione di un sacerdote evoca molteplici ricordi di martiri della fede, uccisi con l’unica colpa di essere cristiani e, in alcuni casi, sacerdoti. Don Mattehw è stato ucciso mentre tornava a casa, durante un vero e proprio assalto. Alcuni motociclisti hanno seguito la sua macchina sparando alle ruote e, una volta ferma, hanno sparato e ucciso il sacerdote da distanza ravvicinata.
Altro sangue versato in una terra già pesantemente colpita dalle persecuzioni contro i cristiani.
Come se non bastassero le uccisioni, gli attacchi e quest’ultimo assassinio, manca ancora all’appello il sacerdote Wilfred Ezemba, rapito lo scorso 13 settembre.
La vera notizia però è la lunga testimonianza dei sacerdoti e del popolo cristiano tutto che rimangono, nonostante lo scontro ormai di lunga data tra pastori musulmani e contadini cristiani e, soprattutto, la sanguinaria presenza mai venuta meno di Boko Haram.
Una permanenza dettata probabilmente da tante ragioni, ma che non può che portare anche a una domanda: cosa spinge un giovane a consacrare la propria vita in una terra che uccide i cristiani, se non l’amore di Cristo? Che è, in definitiva, ciò che salva il mondo.
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