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Home » Politica » Sondaggi politici » SONDAGGI/ “Cala la sfiducia in partiti (-21%) e leader (-29%), qualcosa di grosso sta succedendo in Italia”

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SONDAGGI/ “Cala la sfiducia in partiti (-21%) e leader (-29%), qualcosa di grosso sta succedendo in Italia”

Int. Arnaldo Ferrari Nasi
Pubblicato 28 Ottobre 2025
Roma. Montecitorio, sede della Camera (Ansa)

Roma. Montecitorio, sede della Camera (Ansa)

Secondo i sondaggi di Ferrari Nasi (Analisi Politica), è cambiato in modo repentino il sentiment degli italiani verso i partiti e i leader politici

SONDAGGI – Un decennio di sfiducia, poi un’inversione improvvisa. I dati raccolti da AnalisiPolitica mostrano un calo netto della delusione e del disprezzo verso i partiti e i leader italiani. Tra il 2022 e il 2025, gli elettori che dichiarano di sentirsi “delusi dal partito votato” passano dal 53% al 32%. Anche chi dice di “disprezzare i propri leader” scende dal 43% al 29%. Numeri che ribaltano la percezione di un Paese in crisi di fiducia.


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A interpretarli è il sociologo e sondaggista Arnaldo Ferrari Nasi, che ci accoglie con il suo tono ironico: “Io resto sempre ottimista. I dati non mentono: sta succedendo qualcosa di italiano, unico in Europa”.

Professor Ferrari Nasi, il suo ultimo sondaggio mostra una caduta di 21 punti nella delusione verso i partiti. È un errore di rilevazione o davvero gli italiani sono meno scontenti?


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(Ride) No, i numeri sono solidi. Dal 2015 al 2022 tutto fermo: il 52-53% degli elettori dicevano “sì, il mio partito mi delude”. Poi, all’improvviso, nel 2025 scendiamo al 32%. È un calo secco, e non lo dico io: lo dicono le risposte. E quando un dato resta stabile per dieci anni e poi precipita, be’, qualcosa di grosso è successo.

Cosa intende, “qualcosa di grosso”? Sta parlando di un cambiamento politico o di costume?

Un po’ di entrambi. Io lo chiamo “fenomeno italiano” perché riguarda tutto il Paese, non un solo partito. C’è meno risentimento, meno rabbia. All’estero la chiamerebbero “normalizzazione”. È un segno di maturità: la gente ha smesso di pretendere miracoli e guarda alla politica per quello che è, non come a un salvatore o a un nemico.


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Tre anni sono pochissimi per un’inversione così netta. Da cosa può dipendere?

Da simboli, innanzitutto. Abbiamo avuto la prima presidente del Consiglio donna della storia repubblicana. È un fatto epocale, comunque la si pensi. Poi c’è la durata: questo governo è tra i più longevi degli ultimi decenni, e piaccia o no, la stabilità conta. E poi, diciamolo, all’estero in questo momento si parla bene dell’Italia. Lo vediamo dalle copertine, dalle analisi economiche. Tutto questo filtra nella percezione dell’elettore.

In altre parole, secondo lei non è tanto una questione di consenso, ma di percezione di “tenuta”?

Esatto. L’elettore medio non legge le leggi in Gazzetta Ufficiale, guarda se il Paese regge. Se non crolla tutto, se il resto del mondo ti considera stabile, allora nasce una fiducia di fondo, una specie di “respiro lungo”. E questa cosa, in Italia, non l’avevamo mai vista così chiaramente.

Nei dati del 2025 emergono però differenze forti: più deluse le donne, soprattutto nel Nordest e nel Centro. Come lo spiega?

Spoglio delle schede in un seggio elettorale (Ansa)

È un fatto interessante. Nel 2025 le più deluse sono le donne laureate, con un alto livello di istruzione, e soprattutto nelle regioni del Nordest e del Centro. Non sono disamorate, anzi: sono più attente. È una delusione “vigile”, direi. Significa che partecipano, leggono, si informano. Non si lasciano trascinare. Io la considero una buona notizia, non una brutta.

E i giovani? Sono sempre stati i più critici, si conferma questa tendenza?

Sì, i giovani restano i più critici. Ma nel 2025 lo sono meno rispetto al 2022. Continuano a lamentarsi, certo, ma partecipano. È una critica che nasce dall’interesse, non dal distacco. E questo è positivo.

Veniamo agli schieramenti. Chi sta soffrendo di più in termini di fiducia?

Qui i numeri parlano chiaro. Nel 2022 la destra era in una fase “normale”, oggi ha il vento in poppa. La sinistra, invece, paga divisioni e incertezze. Ma attenzione: non è solo un voto di appartenenza, è anche una reazione al clima generale.

E il “disprezzo” verso i leader? Perché è calato così tanto?

Perché la gente si è abituata. Nel 2015 e nel 2022 avevamo un 43-44% che diceva “sì, disprezzo i miei leader”. Nel 2025 scende al 29%. È lo stesso andamento della delusione: piatto per anni e poi giù di colpo. Non è che improvvisamente li amino, eh. È che non li odiano più. E già questo, in un Paese come il nostro, è un piccolo miracolo.

Mi permetta una domanda diretta: quindi non è che gli italiani siano più felici della politica, semplicemente meno arrabbiati?

Esatto. È proprio questo. Non c’è entusiasmo, ma equilibrio. Meno emotività, più realismo. È come se l’elettore avesse abbassato il volume del rancore. E per me, da sociologo, questo è un passo avanti notevole.

Le guerre, la crisi energetica, la valanga di notizie online: tutto questo ha inciso?

Certo, eccome. Negli ultimi anni abbiamo avuto guerre, crisi, pandemie, tutto in diretta social. Una volta certe cose si scoprivano mesi dopo, oggi arrivano in trenta secondi. Questa iper-esposizione ha un effetto curioso: rende le persone più informate e, paradossalmente, più stabili. Perché si abituano all’incertezza.

Se dovesse riassumere il 2025 politico in una frase?

Direi: “meno delusione, meno disprezzo, più maturità”. L’Italia, al netto dei problemi, sta andando meglio di quanto raccontiamo. Io il bicchiere lo vedo mezzo pieno, sempre. E soprattutto: i dati non mentono mai.

(Max Ferrario)

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