In Cina cinque pazienti paralizzati hanno riacquisito la capacità di camminare: il rivoluzionario impianto spinale che "sostituisce" i motoneuroni
Quello che si sta realizzando in Cina potrebbe essere uno dei più importanti sviluppi medici degli ultimi decenni, in grado di risolvere il tedioso – e, per ora, considerato incurabile – problema della paralisi completa di un paziente dopo un grave danno subito alla spina dorsale: una possibilità che i ricercatori studiano da decenni e che proprio dalla Cina sta dando frutti sempre più importanti con i primi successi su pazienti paraplegici e – più recentemente – anche un successo su un paziente tetraplegico.
Partendo proprio dagli studi, è utile ricordare che attualmente le lesioni al midollo spinale sono considerate del tutto irreversibili con il paziente costretto – a seconda della gravità – a passare il resto della vita in un letto, oppure su di una carrozzina: lo scorso marzo dalla Cina, però, era stata diffusa la notizia di uno studio condotto partendo da un impianto spinale (ci torneremo a breve) grazie al quale quattro differenti pazienti paraplegici erano riusciti a riacquisire parte delle funzionalità delle gambe.
Un risultato già di per sé sorprendente, ma che recentemente è stato replicato su un caso ancora più delicato: sempre in Cina, infatti, il medesimo impianto (o forse una versione simile, magari più sofisticata) è stato fatto anche a un ex poliziotto che a causa di un incidente conviveva con una paralisi completa dal collo in giù – appunto, la tetraplegia -, con risultati del tutto sovrapponibili a quelli del primo studio in un vero e proprio, storico, successo per la Cina e la scienza mondiale.
Come funzionano gli impianti spinali creati in Cina: minuscoli chip collegati a elettrodi che sostituiscono i motoneuroni
Ovviamente allo stato attuale, con gli studi ancora in corso, la tecnologia che si nasconde dietro a questi successi messi a segno dalla Cina è ancora largamente secretata, ma sappiamo per certo che si tratta di piccoli impianti spinali che vengono inseriti nel punto preciso della lesione subita dal paziente (il più delle volte tra le primissime vertebre) e che cercano di assolvere alle funzioni perse dei cosiddetti “motoneuroni“, ovvero quelli che recepiscono le informazioni sui movimenti volontari direttamente dal cervello, trasmettendole agli arti interessati.

Gli impianti creati in Cina, insomma, vanno immaginati come vie di mezzo tra elettrodi in grado di trasmettere stimoli elettrici e veri e propri processori come quelli utilizzati dai computer: i processori interpretano le informazioni elaborate dal cervello del paziente e le trasmettono direttamente agli elettroni che – a loro volta – stimolano una reazione precisa nel corpo; mentre dai risultati degli studi in Cina sembra che oltre alla mobilità, i pazienti abbiano recuperato anche le sensazioni tattili, a dimostrazione che il meccanismo funziona anche al contrario.
