Andrea Angeli, ex funzionario ONU, in "Fede, ultima speranza" racconta tante crisi internazionali segnate da una incrollabile presenza di pace
Ci sono libri che svelano più di mille puntigliose analisi, e uomini che, dopo anni passati dietro le quinte, sbrogliano la Storia, semplicemente raccontando la sua insopprimibile quotidianità. Fede, ultima speranza (Rubbettino, 2025) è un volumetto che appartiene alla prima specie, Andrea Angeli, il suo autore, alla seconda. Ma è il sottotitolo a spiegare: Storie di religiosi in aree di conflitto.
A raccontare snodi di vicende che hanno tenuto con il fiato sospeso mezzo mondo è un ex funzionario della Nazioni Unite, che nella sua missione, svolta quasi con sacrale impegno, ha assistito, e a volte contribuito a sciogliere, le più intricate situazioni internazionali su scenari diversissimi eppure sovrapponibili per concentrazione di complessità e materia conflittuale.
Una sensibilità rara e una gigantesca esperienza hanno permesso ad Andrea Angeli di solcare terreni minati con l’unico obiettivo di svolgere una funzione di raccordo tra parti contrapposte, non ai tavoli dei negoziati, ma nell’usurante servizio quotidiano.
Così muovendosi tra comandi e postazioni, checkpoint e aeroporti, dalla Namibia alla Cambogia, da Timor Est ai Balcani, dal Cile all’Iraq, all’Afghanistan, Angeli ha vissuto “pericolosamente”, potendo sempre contare su un’indubbia capacità di tessere relazioni e sulla facilità nel riconoscere la scintilla di bene nel mare oscuro in cui, a volte, affonda il cuore umano.
A illuminare questa scorribanda nelle guerre che hanno afflitto la fine del Novecento e l’inizio del millennio una citazione di Sergio Mattarella, posta come dedica all’inizio: “I testimoni di pace sono protagonisti della storia”. Un’affermazione quanto mai calzante, non solo ai tanti religiosi che ad ogni latitudine hanno fatto la differenza, quasi sempre mettendo in gioco la propria vita per un ideale condiviso, ma anche all’autore, che non si è mai tirato indietro quando chiamato a costruire artigianalmente la pace, rimanendo sempre un passo indietro, come i migliori funzionari sanno e devono fare, eppure sempre avanti nell’ipotizzare un futuro certo e sicuro.

Colpisce nel suo racconto la presenza di consacrati, religiosi, vescovi e nunzi prima, durante e dopo ogni situazione esplosiva. Non solo. Nella narrazione, puntualissima e dettagliata, delle crisi in cui si è trovato coinvolto, con uno stile in cui semplicemente i fatti creano trame che fanno invidia alle migliori spy stories, traspare l’ammirazione per figure che spesso sono state bistrattate, se non severamente giudicate, dalle cronache di guerra.
Un’apertura di credito che probabilmente veniva dalla frequentazione degli oratori marchigiani, e dalla disposizione naturale ad andar d’accordo con preti e suore, o ancora, come umilmente ammette, dalla considerazione di essere un “cattolico della domenica”. Certo è che la frequentazione di “preti e religiosi in prima linea” gli ha permesso di vedere e registrare ciò che altri semplicemente liquidavano come “elementi collaterali”, di comprendere nelle pieghe degli eventi bellici, il segno di una Presenza altra, di quel Dio che spesso deve scrivere sulle righe storte.
Non anticipo nulla delle figure che prendono forma nei capitoli che spaziano dal Mekong al deserto di Nassiriya, per non togliere il piacere della scoperta e della lettura. Ma ammetto che molti ritratti mi hanno sorpreso, accanto a quelli che sono state delle semplici conferme. Il volume ha il merito di ricordare ciò che spesso viene sottovalutato, ossia la complessità della guerra, l’impossibilità di contenere tutto nel facile schemi di buoni e cattivi, in una polarizzazione comoda che spazza via chi subisce da ogni lato del fronte. E soprattutto la gigantesca opera di chi non smette mai di scommettere sull’uomo e sulla sua dignità. Un’altra dedica è preziosa: quella ad un diplomatico amico di Angeli, Giandomenico Picco, “luce di speranza nelle notti di Beirut, quando l’Onu faceva la differenza”. Appunto.
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