Dopo gli ultimi attacchi nel sud della Siria Al Sharaa se la prende con Israele. In realtà rispetta l'agenda USA. Intanto gli ex di Assad si organizzano
Al Sharaa, leader sunnita della Siria, se la prende con Israele, soprattutto dopo i violenti attacchi, anche aerei, a Beit Jinn, nel sud del Paese, sostenendo che esporta la guerra per distrarre l’opinione pubblica da quello succede a Gaza. Parole che però dimenticano quanto lui medesimo, presidente della Siria, si sia legato agli USA, notoriamente i più stretti alleati proprio degli israeliani. Il Paese, piuttosto, vista la sua persistente instabilità, di cui pagano le conseguenze in particolare alawiti e cristiani, guarda con timore alla costituzione di nuove milizie sostenute da ex di Assad.
Dietro l’iniziativa, spiega Bernard Selwan Khoury, direttore italo-libanese del Centro studi sul mondo arabo Cosmo, ci sono le stesse persone che hanno sostenuto gli insorti protagonisti degli scontri con le forze governative nel marzo scorso nella zona costiera. Se queste milizie dovessero riuscire a organizzarsi, c’è da aspettarsi la repressione dell’attuale presidenza, ancora incapace di esercitare un vero controllo sul territorio.
Al Sharaa dice che Israele esporta il conflitto all’estero, con operazioni militari anche in Siria, per distogliere l’attenzione da Gaza. L’accordo di Abramo fra i due Paesi resta lontano?
Con queste dichiarazioni, Al Sharaa cerca di consolidare la propria legittimità all’interno della Siria. Dopo la sua visita a Washington, tuttavia, mi sembra molto chiaro che questa presidenza siriana sarà fortemente vincolata a un’agenda americana nella regione. E sappiamo che tra questa presidenza statunitense e Israele c’è una forte comunione di intenti. Detto in altri termini, sono dichiarazioni rivolte all’opinione pubblica interna, per confermare la propria legittimità come leader sunnita. Di fatto, però, da un punto di vista strategico il Paese ha imboccato la strada che porta alla normalizzazione dei rapporti con Israele.
Normalizzazione dei rapporti vuol dire anche che Israele si terrà il Golan?
Se non ci fosse il Golan è probabile che oggi la Siria sarebbe già nel novero dei Paesi che hanno sottoscritto gli Accordi di Abramo. Cederlo completamente per il presidente siriano significa intaccare la propria legittimità, trasmettere un segnale di debolezza. Dall’altra parte i siriani sanno bene che quella è una zona cuscinetto fondamentale in una regione strategica. Oggi grazie alla tecnologia non c’è più bisogno di un’altura per mantenere il controllo di un’area, ma nell’ottica della creazione di una buffer zone è chiaro che per Israele quella resta un’area strategica.
Si dice anche che personaggi legati al vecchio regime di Assad stiano cercando di finanziare milizie alawite per tornare a ritagliarsi uno spazio nel Paese. Cosa sta succedendo?

C’è un tentativo di componenti del vecchio regime di Bashar al Assad di tornare ad avere un ruolo attraverso formazioni paramilitari. Si tratta di un elemento importante, perché ci fa capire molto della Siria di oggi. Al Jawlani (ora al Sharaa) si è tolto il turbante da leader qaedista e si è messo la giacca e la cravatta, ma la situazione all’interno del Paese è drammatica: 40 anni di regime alawita hanno alimentato un astio anche di natura confessionale.
Contro chi?
Oggi che i sunniti sono al potere, le prime comunità che ne stanno pagando le conseguenze sono quelle percepite come minoritarie, quella alawita ma anche quella cristiana. La sovranità nazionale non è ancora estesa a tutto il territorio. Ormai il controllo dei curdi è abbastanza consolidato, ma ci sono cellule dello Stato islamico nella Badia siriana, una zona desertica, che continuano a rappresentare una minaccia, quindi ci sono i drusi che strizzano sempre di più l’occhio agli israeliani. Una situazione di instabilità che è terreno fertile anche per gli ex di Assad.
Chi in particolare tra gli appartenenti all’ex regime sta promuovendo queste nuove milizie?
In primis emerge il nome del generale Kamal Hassan. Poi c’è un imprenditore che è Rami Mahlouf, cugino di Bashar al Assad, l’ex presidente, noto per aver finanziato le principali milizie filo-Assad che furono responsabili delle insurrezioni dello scorso mese di marzo, nelle regioni costiere. L’obiettivo è quello di creare strutture parallele, paramilitari, non soltanto ad Hama e Homs, ma proprio in quelle regioni costiere già teatro di scontri a marzo. Mi riferisco in particolare a Latakia e Tartus.
I turchi, i grandi sostenitori di al Sharaa, in tutto questo che ruolo giocano?
Continuano a mantenere una presenza strategica, quantomeno a livello di intelligence. Non vediamo al momento operazioni eclatanti che fanno capo a loro, tuttavia la loro presenza e il supporto ad al Sharaa è importante. Escludo che permettano che questi gruppi filo Assad possano minacciare realmente il nuovo potere costituito.
Questo vorrebbe dire un’ulteriore repressione da parte del regime?
Nel caso in cui queste iniziative dovessero concretizzarsi questo è uno sviluppo che si può prevedere.
(Paolo Rossetti)
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