Romano Prodi, all'indomani della ridefinizione della dottrina della sicurezza nazionale Usa, è tornato a difendere l'ipotesi di un'alleanza con la Cina
Romano Prodi non ha resistito. Poche ore dopo la “bocciatura” dell’Europa da parte dell’amministrazione Trump, l’ex presidente della Commissione Ue già scriveva che per il Vecchio Continente è ora di “allearsi con la Cina”. Come se tutti dimenticassero che l’ex advisor della Goldman Sachs nei dintorni delle privatizzazioni italiane è da anni un broker di relazioni (anzitutto affari) fra Europa (anzitutto Italia) e Pechino.
E passi se l’ingresso di una holding cinese in un gestore italiano di infrastrutture strategiche come Snam stia infine sollevando problemi presso altri governi europei (all’origine della guerra russo-ucraina un gasdotto nuovo di zecca è stato decisivo quanta la contesa sul Donbass).
Prodi si agita come se nessuno ricordasse che il giorno in cui Trump è stato rieletto, lui si trovava nella capitale cinese, per di più avendovi tirato per la giacca “in visita ufficiale” il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, per festeggiare con il presidente di Stellantis, John Elkann, l’istituzione di una cattedra di studi italo-cinesi all’Università di Pechino, a beneficio dell’ex premier italiano. Come se nel contesto di un lungo dopoguerra – nella speranza che inizi davvero e al più presto – non si annunciasse già allora l’aggiustamento competitivo fra le due potenze globali.
Su questo sfondo Prodi si sgola a favore della Cina, mentre Emmanuel Macron – ormai caricatura di un presidente francese e di un leader europeo – è appena volato a Pechino per certificare in global live video quale attenzione reale riservi l’Impero di Xi all’Europa. Zero, o peggio: fastidio sbrigativo.
Le affannate mosche cocchiere della Vecchia Europa – spesso in viaggio all’estero perché finite in minoranza nei rispettivi Paesi – rischiano di essere i peggiori nemici dei loro concittadini. Che sono certamente in un frangente difficilissimo, e non dovrebbero essere ingannati da chi è nato 90 anni fa, quando doveva ancora scoppiare la seconda delle due guerre del suicidio europeo.
Non dovrebbero essere illusi – soprattutto gli europei più giovani – che la salvezza della “civiltà occidentale” sia comprabile in Cina, dove la democrazia non ha mai abitato un solo giorno nella storia.
Meglio di Macron, tre mesi fa, era stato accolto in Cina un altro ex premier del centrosinistra italiano: Massimo D’Alema, successore diretto di Prodi quasi trent’anni fa (il secondo privatizzò Telecom, come volevano le grandi banche di Wall Street, il primo vi sostenne poi “la madre di tutte le Opa”). Nel 2025 L’ex leader Pci-Pds-Ds è volato a Pechino per assistere a una grande parata militare in piazza Tiananmen (quella della brutale repressione degli studenti nel 1989). D’Alema è comunque dedito da molti anni all’attività di consulente internazionale: non scrive editoriali politici e non rilascia tre interviste alla settimana sull’Italia o sulla Ue.
Almeno, Prodi rimanesse fedele nel tempo. Nell’agosto del 2019 fu il grande sponsor del “governo Ursula”, etichetta del ribaltone italiano per riportare al governo il suo Pd. Ma neppure cinque anni dopo, la cristiano-democratica tedesca confermata alla Commissione Ue era già sprezzata come “contabile europea” dal suo predecessore italiano.
La sua colpa? Aver chiamato come vicepresidente dell’Unione – dopo i dem Federica Mogherini e Paolo Gentiloni – Raffaele Fitto (FdI), ministro per gli Affari europei nel governo italiano in carica. Il peccato mortale della popolare von der Leyen è stato prendere atto dei nuovi equilibri all’europarlamento dopo un voto democratico.

Pur indicata dal cancelliere socialdemocratico tedesco Olaf Scholz (travolto dall’eurovoto e a breve da quello interno) e dal presidente liberale francese (idem), von der Leyen ha nei fatti aperto la sua maggioranza, all’europarlamento, ai conservatori europei capitanati da Giorgia Meloni, presidente del Consiglio italiana in carica, vincitrice del voto 2024 in Europa e in Italia. Come “Ursula” in Europa, mentre la Cdu tornava a guidare il Paese.
Il ribaltone 2019 – visto di buon occhio da Mattarella non meno che da Prodi – issò nel Conte 2 il cattodem Lorenzo Guerini come ministro della Difesa. Guerini vi rimase anche durante il successivo esecutivo Draghi, in carica quando la Russia aggredì l’Ucraina. Ma durante la campagna elettorale per le politiche 2022, il Pd si guardò bene dal mettere nel proprio programma un appoggio convinto a Kiev. Troppo forti (anche per i cattodem) il rumore e l’odore delle armi Nato di fabbricazione Usa.
Così il voto fu vinto dall’unica forza politica che aveva confermato nella sua piattaforma lo storico allineamento italiano agli Usa – la grande democrazia occidentale che ha liberato l’Europa dal nazifascismo – e alla Nato, che ha protetto l’Europa ricostruita e poi riunita in una Unione sempre più larga.
Nei tre anni successivi all’ultimo voto politico, il Pd ha costantemente mantenuto un ambiguo silenzio-dissenso sull’opportunità di appoggiare in modo deciso Kiev contro Mosca. Troppo forte, a sinistra, la pressione pacifista di M5s e Avs, estesasi poi al fronte di Gaza (sempre in chiave strumentale anti-Usa dopo l’avvento di Trump e quindi anti-centrodestra nazionale).
L’insegna cattodem è stata così sempre quella – ambigua al massimo – della “pace giusta”. Alla fine, sì, contro Vladimir Putin – ma non del tutto – e mai (del tutto) al fianco di Volodymyr Zelensky. A favore generico e verbale di ogni tentativo di cessate il fuoco, mai però veramente sul tavolo, sempre vietato dalla Casa Bianca dem di Joe Biden.
Solo oggi, quando a volere con determinazione il cessate il fuoco in Ucraina è la Casa Bianca di Donald Trump, il Quirinale dem è corso a riunire il Consiglio supremo di difesa (segretario l’ex deputato cattodem Francesco Saverio Garofani) per proclamare che l’Italia è a fianco della resistenza di Kiev contro Mosca. E Guerini scende solo ora in campo a premere sul governo quando valuta – con i partner Ue – nuove forniture di armi all’Ucraina. L’esecutivo – secondo Guerini – dovrebbe farlo quando l’intera Ue esita anzitutto a usare i miliardi russi sotto sequestro (questi sono fra l’altro sui tavoli dei negoziati in corso fra Usa e Russia).
La Cina, nel frattempo si lava platealmente le mani dell’Ucraina e dell’Europa intera. Con buona pace dei suoi lobbisti in Europa.
P.S.: potrà essere improprio ed eccessivo segnalarlo senza un’articolazione invece indispensabile, ma molto prima che lo facesse la Casa Bianca di Trump, l’Europa è stata bocciata – senza troppe prove d’appello – da Papa Francesco. Che certamente rivolgeva uno sguardo attento alla Cina, ma da pastore della Chiesa cattolica e avendo costantemente a cuore la pace per tutti gli abitanti del pianeta, non la guerra e tanto meno gli affari.
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