TAR/ I giudici e l’educazione di serie B

- La Redazione

Il Tar del Lazio ha accolto i ricorsi presentati da alcuni studenti contro il fatto che la partecipazione all’ora di religione contribuisca alla valutazione dello studente. L’insegnante di religione, in nome del pluralismo, diventerebbe così un insegnante di serie B. Il commento di Gianni Mereghetti

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Scuole statali e paritarie

Il Tar del Lazio con la sentenza n° 7076 emessa il 18 luglio 2009 ha accolto i ricorsi presentati da alcuni studenti contro il fatto che la partecipazione all’ora di religione contribuisca alla valutazione dello studente. L’insegnante di religione diventerebbe così un insegnante di serie B, la sua valutazione non avrebbe alcun valore e non contribuirebbe alla definizione dei crediti scolastici. Questo perché, secondo i giudici laziali, «in una società democratica può essere considerata una violazione del principio del pluralismo il collegamento dell’insegnamento della religione con consistenti vantaggi sul piano del profitto scolastico e quindi con un’implicita promessa di vantaggi didattici, professionali ed in definitiva materiali». Di conseguenza i giudici del Tar del Lazio ritengono che «l’attribuzione di un credito formativo ad una scelta di carattere religioso degli studenti e dei loro genitori, quale quella di avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche, dia luogo ad una precisa forma di discriminazione, dato che lo Stato Italiano non assicura identicamente la possibilità per tutti i cittadini di conseguire un credito formativo nelle proprie confessioni ovvero per chi dichiara di non professare alcuna religione in Etica Morale Pubblica».
Questa sentenza del Tar del Lazio è un nuovo attacco alla libertà portato dal laicismo, che dietro a un’apparente democraticità vuole di fatto impedire che dentro la scuola si possa liberamente verificare il rapporto che si costituisce tra l’esperienza della fede e la cultura.
Ancora una volta è l’idea della scuola neutra che vuole invadere il campo dell’educazione, riducendo l’insegnamento a un apprendimento di nozioni e di tecniche così perfette e imparziali da non avere nessun nesso con la vita.
Il Tar del Lazio vuole una scuola senza libertà, è questa l’immagine di democrazia che i giudici perseguono, una democrazia in cui sia lo Stato a decidere che cosa uno studente debba imparare. È per questo che i giudici del Tar del Lazio vogliono emarginare l’insegnamento della religione cattolica, perché è un insegnamento anomalo rispetto alla loro idea di scuola.
Questi giudici sono però così annebbiati dal loro pregiudizio ideologico da non rendersi conto nemmeno della grave scivolata che hanno fatto. La loro sentenza attacca l’ora di religione e ne vuole limitare l’incidenza sul percorso scolastico degli studenti che la scelgano, perché «sul piano giuridico, un insegnamento di carattere etico e religioso, strettamente attinente alla fede individuale, non può assolutamente essere oggetto di una valutazione sul piano del profitto scolastico».
I giudici del Tar del Lazio hanno commesso un grave errore perché hanno considerato l’ora di religione come un’ora di catechismo, quanto tutti ben sappiamo che l’ora di religione ha una dimensione storico-culturale. Come dice l’art. 1 dei Nuovi Programmi: «Nel quadro delle finalità della scuola e in conformità alla dottrina della Chiesa Cattolica, l’I.R.C. concorre a promuovere l’acquisizione della cultura religiosa per la formazione dell’uomo e del cittadino e la conoscenza dei principi del cattolicesimo che fanno parte del patrimonio storico del nostro Paese».
I giudici del Tar del Lazio l’hanno proprio combinata grossa, non sanno nemmeno distinguere tra l’ora di catechismo e l’ora di insegnamento della religione cattolica che viene fatta dentro la scuola, oltre al fatto che non sanno riconoscere quello che ormai riconoscono tutti, ossia il contributo che la religione cattolica ha dato e dà alla storia dell’uomo, alla sua ricerca del vero e a tutte le sue manifestazioni culturali. Sono loro a compiere una discriminazione grave, sono loro a voler impedire agli studenti e alle famiglie che lo vogliano di esercitare una libertà, la libertà di conoscere un fatto, quello cristiano, senza del quale tantissime espressioni storiche e culturali rimangono del tutto incomprensibili.
La sentenza del Tar del Lazio non è una sentenza contro il cattolicesimo, è una sentenza contro l’educazione, perché finisce la scuola laddove lo Stato decide che cosa si debba conoscere e che cosa no!

(Gianni Mereghetti)

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