La rivoluzione dei santi

A circa una settimana dalle elezioni Usa, commenta LORENZO ALBACETE, sono molte le domande rimaste senza risposta, mentre politici di tutte le parti pensano solo a spartirsi la vittoria

Quando leggerete questo editoriale mancherà circa una settimana alle elezioni di mezza legislatura negli Stati Uniti. Poi ci sarà l’esplosione di esperti, osservatori, analisti, giornalisti e via dicendo, che inizieranno a discutere i risultati. Subito dopo ci sarà qualche altra cosa che attirerà l’attenzione della nazione. Che riesca a sopravvivere la maggioranza Democratica progressista, o che sia spazzata via dai candidati Repubblicani saliti per tempo sul carrozzone del Tea Party, le domande rilevanti poste durante la campagna elettorale rimarranno senza risposta. E il futuro sarà determinato dalla distribuzione del potere tra i vincitori.

Solo i santi e chi persevera nella ricerca della santità continueranno a sollevare domande e a offrire alla società i frutti creativi delle intuizioni rese possibili dalla fede. Solo i santi continueranno a “marching on”, ad andare avanti.

Mi è stato detto da una fonte attendibile che quando Papa Giovanni Paolo II visitò Cuba, Fidel Castro gli chiese di far rinascere nei giovani dell’isola la volontà di servire il Paese. Castro disse al Papa che erano proprio i giovani cattolici ispirati dal Papa che per la maggior parte si mostravano entusiasti di lavorare in favore della giustizia sociale, e sembra che citasse la Gioventù Cattolica e le figlie di Madre Teresa. Per questo sperava che la visita del Papa avrebbe risvegliato lo spirito rivoluzionario della gioventù cubana. Giovanni Paolo II rispose che la gioventù non aveva bisogno di un rinnovato spirito rivoluzionario, bensì di incontrare, credere e rimanere unita a Gesù Cristo. Questo è il modo in cui la Chiesa, la comunione dei santi, contribuisce alla ricerca della giustizia sociale.

Non so cosa abbia pensato Castro della risposta del Papa, ma so quanto sia difficile per molti, progressisti o conservatori, comunisti o capitalisti, socialisti o liberisti, accettare quanto affermato da Papa Giovanni Paolo II.

Questa è stata la questione al cuore del dibattito sulla Teologia della liberazione, cioè se la fede sorgesse dall’azione o piuttosto l’azione fosse guidata dalla fede, se il primato fosse della ortoprassi o della ortodossia. Papa Giovanni Paolo (aiutato dall’allora Cardinal Ratzinger, che sostenne il peso maggiore della battaglia) respinse il primato dell’ortoprassi. Questo non significa, però, che fosse in favore del primato dell’ortodossia intesa come corretta formulazione di dottrine astratte. Per lui, l’ortoprassi era una forma di moralismo, ma l’ortodossia era una visione della realtà resa possibile dall’incontro con la gloria di Cristo.

A mio parere, la migliore formulazione data da Giovanni Paolo II della questione è il suo dramma “Fratello di nostro Dio”, in cui racconta la storia di Adam Chmielowski, un patriota polacco, intellettuale, politico e pittore, nato il 20 agosto del 1845 e morto il giorno di Natale del 1916.

 

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