Dante contro gli speculatori

Dante mette gli usurai tra coloro che hanno peccato contro Dio. Eliot considera l’usura uno degli dei dell’uomo moderno

È arcinoto che Thomas Eliot conclude il “coro” nel quale descrive la storia religiosa del’umanità con la constatazione che attualmente «gli uomini hanno dimenticato / tutti gli dei, salvo l’Usura, la Lussuria, il Potere».

 

È facile dar ragione al poeta inglese. Il Potere (mantengo la maiuscola, che ne fa quasi una demoniaca personificazione) si mostra, in qualsiasi ambito lo si voglia realizzare, come l’idolo cui si sacrificano speranze giovanili, affetti, energie intellettuali e volitive. La Lussuria è tanto dilagante e banalmente accettata che investe col suo fiato marcio ogni rapporto. Ma perché Eliot inserisce come terzo idolo dell’uomo moderno l’Usura? Avrebbe potuto parlare semplicemente di Denaro oppure di Economia. È vero che l’usura in senso stretto, lo strozzinaggio, è pratica diffusa, ma non ha certo l’invadenza distruttiva di Lussuria e Potere.

Forse una spiegazione si può trovare ricordando che Eliot è stato un grande ammiratore di Dante. Ora, nell’inferno dantesco il peccato di usura riveste una gravità e ha una corrispondente punizione che a noi sembrano esagerate. E lo sarebbero se usura fosse soltanto dare in prestito a tassi particolarmente esosi. Per Dante, invece, essa è molto peggio.

Gli usurai, infatti, si trovano nel settimo cerchio, quello dei violenti. Fedele alla sua esigenza di chiarezza ordinativa, Dante divide questo cerchio in tre gironi. Il primo è occupato dai violenti contro il prossimo, che si dilaniano vicendevolmente nella palude Stigia. Nel secondo si trovano gli alberi contorti in cui sono trasformati coloro che hanno fatto violenza a se stessi, i suicidi. Il terzo girone raccoglie, infine, i violenti contro Dio; essi penano eternamente su una spiaggia arroventata e sopra di loro piove una perpetua nevicata di fuoco.

Anche qui vige una gerarchia di gravità. I peggiori sono quelli che hanno esercitato violenza direttamente contro il Creatore: i bestemmiatori, che devono stare stesi ricevendo in tutta la loro persona il caldo della sabbia e della pioggia infuocata. Altri possono camminare e quindi hanno una pena inferiore; sono i sodomiti, cioè coloro che hanno usato violenza contro la natura e quindi, indirettamente, contro Dio. Il terzo raggruppamento è composto da gente che se ne sta rannicchiata, scuotendo di continuo da sé le falde infuocate; sono, appunto, gli usurai. Dante stesso è stupito di trovarli tra i violenti contro Dio e ne chiede ragione a Virgilio.

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Essi sono, risponde il poeta latino, coloro che hanno usato male la propria “arte”, cioè della capacità che Dio ha dato all’uomo perché esso, imitando la natura, dia gloria a Lui, il Creatore. L’arte infatti è figlia della natura, che a sua volta è figlia di Dio. Violentando l’arte – che quindi è «nepote» di Dio – gli usurai hanno fatto violenza ultimamente contro Dio stesso.

 

La critica ha messo in evidenza che l’obiettivo polemico di Dante è qui la nuova classe di coloro che si arricchiscono non con la tradizionale “arte” del lavoro agricolo o artigiano, ma con la pura speculazione finanziaria. Già questo basterebbe per mostrare quanto sia pertinente l’inserimento dell’Usura nella triade degli idoli moderni.

 

Ma la genialità dantesca, ripresa da Eliot, va più in là. Usura, in fondo, è ogni utilizzo delle proprie risorse, della propria “arte”, che non rispetta la sua naturale chiamata a inserirsi in un ordine più grande della propria immediata soddisfazione e si richiude solipsisticamente su se stesso. Non è, dunque, così lontana dalla nostra quotidianità.

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