1 è più di 30 milioni
Si è chiuso il summit dell’Onu sugli Obiettivi del Millennio. Un’occasione per interrogarsi sull’efficacia delle politiche per lo sviluppo

La chiusura del summit dell’Onu dedicato agli Obbiettivi del Millennio è avvenuta nel nome delle donne e dei bambini. Troppe le madri che ogni anno ancora muoiono di parto (350mila, venti anni fa erano mezzo milione), e troppi gli oltre otto milioni di bambini che muoiono prima dei cinque anni (12 milioni nel 1990).
È qui che si sono registrati i progressi più lenti rispetto agli obbiettivi fissati nel 2000, ed è qui che verranno impegnati gran parte dei 40 miliardi di dollari promessi dai leader mondiali riuniti all’Onu. In termini generali la sfida era del dimezzamento della povertà entro il 2015.
Un insolitamente ottimista Ban Ki Moon ha confermato la raggiungibilità degli obbiettivi, citando casi di “straordinario successo”, pur lamentando la sempre maggiore scarsità dei fondi messi a disposizione da parte dei Paesi ricchi. Difficile dargli torto.
Ad esempio pare che l’Italia non abbia ancora elargito i 30 milioni di euro (tre quarti della liquidazione di un noto banchiere nazionale, tanto per fornire un parametro) promessi lo scorso anno al G8 dell’Aquila (ma ormai il nostro Paese si può dire stia rinunciando all’aiuto internazionale, ridotto allo 0,16% del Pil, contro lo 0,46% della Francia e lo 0,35% della Germania).
Notevole il discorso di Sarkozy, a parte la riesumazione della bufala “Tobin tax”; spietato quello della Merkel, che ha messo in luce le enormi responsabilità (disattese) dei Paesi poveri verso stessi; Berlusconi non c’era. Alla fine tutto si è risolto in una nuova promessa di massicce donazioni, che peraltro non bastano mai a riempire il pozzo della miseria del mondo.
Chi in questi anni è uscito o sta uscendo dal sottosviluppo sta in Asia o America Latina. In Africa il cammino è molto più stentato. La classica cooperazione internazionale, quella legata a soldi e progetti, ha funzionato solo in quei rari casi dove al centro sono state messe le persone, dove si è lavorato di educazione e condivisione vera, dove si è resa la gente protagonista e responsabile.
Cose che si fanno solo investendo tanto tempo e pagando rischi altissimi: nessuno può garantire che il giovane formato a prezzo di tanti sacrifici non tornerà indietro. Ma in tutte le altre situazioni, e cioè quelle dove sono stati finanziati direttamente gli Stati, dove contano più le procedure delle singole persone, dove si costruiscono scuole senza pensare agli insegnanti, i progressi sono impercettibili.
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In Europa si è calcolato che di 100 dollari donati dalle istituzioni solo 30 arrivano al destinatario finale. I leader e i grandi organismi non vogliono fare i conti con le analisi dell’economista africana Dambisa Moyo, per la quale l’attuale sistema degli aiuti è addirittura dannoso a chi li riceve. E nemmeno con quelle dell’ultraliberale economista francese Guy Sorman che già trenta anni fa demoliva le tesi di coloro che sostengono l’equazione “più nascite più povertà” (alla Giovanni Sartori per intenderci).
Pensano che le politiche di uscita dallo sviluppo nascano dai soldi e che lo sviluppo generi persone sviluppate. Invece è proprio il contrario. Vedremo in che modo verranno utilizzati i nuovi soldi, ma è facile che nei progetti, con la scusa di salvare donne e bambini, si inseriscano le politiche di antinatalità e diffusione dell’aborto, denuncia già lanciata all’Onu dal cardinale Turkson. Un caso in cui il rimedio potrebbe essere peggiore del male.
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