Macerie ideologiche

- Pierluigi Colognesi

Il palazzo del popolo di Bucarest, ora sede del Parlamento, fu fatto costruire dal dittatore comunista Ceausescu è un emblema di come funzioni l’ideologia e cosa è capace di portare

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Il Palazzo del Parlamento di Bucarest (Foto Imagoeconomica)

L’edificio più grande del mondo è il Pentagono. Il secondo si trova a Bucarest ed è il Palazzo del popolo, fatto erigere dal dittatore comunista Nicolae Ceausescu in soli tre anni, dal 1984 al 1987. Ora si chiama Palazzo del parlamento, perché una delle sue tremila stanze – sì, tremila, di cui molte enormi – ospita attualmente le sedute dei deputati rumeni.

Questo palazzo è un mostruoso e ingombrante emblema di come funzioni l’ideologia. Prima di tutto dimostra che l’effetto principale di ogni approccio ideologico è la totale impossibilità di vedere come stanno veramente le cose. Ceausescu, padrone incontrastato dello stato rumeno attraverso il partito comunista, aveva deciso di innalzarsi uno smisurato mausoleo; seguiva personalmente tutti i dettagli, chiamava continuamente a rapporto gli oltre duecento architetti per dettare la disposizione dei locali, l’altezza dei gradini di uno scalone, il tipo di marmo da usare o i disegni dei tappeti.

Gli sembrava di poter fare tutto ciò che volesse; il potere raggiunto e saldamente, nonché sanguinosamente, mantenuto gli ha fatto credere che avrebbe potuto in fretta mostrare al mondo il suo strabiliante gioiello. Non si era accorto che la realtà, là fuori, stava cambiando, non aveva sentito gli scricchiolii del suo regime e di quelli dei “paesi fratelli” del blocco sovietico, non aveva visto le crepe che l’insoddisfazione della sua gente stava inserendo nel monolite del proprio potere. E quando è venuto il fatidico 1989 – il palazzo era finito, ma mancavano dei dettagli e la solenne inaugurazione non aveva ancora avuto luogo – Ceausescu è stato travolto dalla caduta del muro. Tradito dai suoi stesi uomini, è stato l’unico leader comunista a finire fucilato.

L’ideologia, quindi, ottunde la vista. Resta, però, dentro qualcosa che non lascia tranquilli. Quando siamo ideologici, c’è qualcosa che ci dice che stiamo barando, che non guardiamo lealmente la realtà. E questo si esprime attraverso una strana paura della realtà stessa. In Ceausescu questa paura ha aggiunto livelli paranoici: si narra che il suo palazzo abbia decine di vie di fuga sotterranee (un tunnel condurrebbe addirittura a un aeroporto fuori città di molti chilometri) e locali col tetto apribile per scappare in elicottero. Non gli è servito a nulla. Ma soprattutto l’ideologia diventa necessariamente violenta. Per fare il suo mostruoso palazzo, Ceausescu ha distrutto centinaia di case, scacciandone gli abitanti, ha costretto migliaia di persone a lavorare forsennatamente nell’immenso cantiere, ha persino obbligato le poche monache che erano sopravvissute alla persecuzione religiosa a tessere immensi tendaggi secondo una tecnica conosciuta solo da loro.

Ho visitato il palazzo di Ceausescu settimana scorsa. E mentre la guida sciorinava numeri favolosi – le tonnellate di marmi o tappeti presenti, la smisurata larghezza e altezza della sala dedicata alla firma dei trattati, la quantità di cristallo impiegata per i lampadari – pensavo al colpevole accecamento da cui era stato afferrato quell’uomo. E ai piccoli palazzi-maceria che ogni giorno produce la mia ideologia.

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