Gli arrabbiati
Come ricorda PIGI COLOGNESI, in tutto il mondo ultraterreno della Divina Commedia c’è un solo luogo dove non si vede niente: la terza cornice del Purgatorio, dove sono messi gli iracondi

In tutto il mondo ultraterreno della Divina Commedia c’è un solo luogo dove non si vede niente: la terza cornice del Purgatorio, dove scontano i loro peccati gli iracondi. Ovunque altrove gli occhi di Dante possono vedere, osservare, rendersi conto; qui no, qui un fumo urticante impedisce ogni visione, rende ciechi. Non per nulla si è soliti dire che uno può essere «accecato dall’ira», il peccato che qui si purga. Questa scena mi è tornata in mente perché mi sembra spiegare certi toni che si leggono sempre più frequentemente sui giornali, toni di gente accecata dall’ira.
Non c’è dubbio che il calderone puzzolente delle ruberie che è stato scoperchiato nella regione Lazio generi sconcerto e giusta indignazione; ma per concludere – come è stato fatto da “autorevoli” commentatori – che tutti i politici non possono che essere manigoldi dediti al proprio tornaconto ci vuole un accecamento provocato dall’ira. Così non si riescono a vedere, anche laddove ci siano, esempi positivi. Fare, come si dice, di tutta l’erba un fascio è procedimento tipico della persona adirata.
Lo stesso si può osservare in alcuni commenti all’imminente celebrazione dei cinquant’anni del Concilio Vaticano II. Parlano di promesse non mantenute, di riforme non realizzate e, leggendoli, si sente chiaramente l’astio iroso di chi, per motivare le proprie posizioni, deve enfatizzare le difficoltà, accentuare gli scandali, evidenziare quello che non va. Non vi si trova la sofferenza di chi ci tiene alla Chiesa, ma il livido rancore di chi non ha visto realizzarsi le proprie idee.
Gli esempi possono moltiplicarsi. In un servizio che tratta delle difficoltà di lettura degli studenti italiani, si sostiene che una delle cause del declino è la nuvola informatica, fatta di brevi messaggi, di immagini subito sostituite da altre, di tweet e blog; tutte cose che rendono difficile se non impossibile l’attenzione dei ragazzi a scuola e sui libri. Analisi, credo, ampiamente condivisibile. Peccato che sia tutta condita da continue recriminazioni verso istituzioni, ministero ed enti vari che dovrebbero fare questo e quest’altro e non l’hanno fatto.
È evidente che tutta questa bile propinata ai lettori ha delle motivazioni non dichiarate eppure percepibili: i professionisti della cosiddetta antipolitica – sempre più numerosi, aggressivi e diversificati – hanno chiaramente delle mire politiche; così come ne hanno, di politica ecclesiastica, i nostalgici del Concilio da loro immaginato. Ma non mi interessa qui andare a caccia di questi secondi fini. M’importa, piuttosto, evidenziare che l’atteggiamento iroso – che non è assente neppure nella nostra quotidianità – impedisce di vedere e di far vedere; anzi, non vuol proprio vedere.
E, invece, c’è molto da vedere. Nel citato servizio sull’incapacità studentesca di leggere, un professore racconta di quella volta che ha invitato nella sua classe un sopravvissuto al lager di Auschwitz: quegli stessi ragazzi normalmente distratti e disattenti si sono improvvisamente trasformati in concetratissimi ascoltatori; gli stessi che non potevano stare più di qualche secondo sul medesimo sms, sono rimasti in silenzio per un’ora. Si può, dunque, «vedere» qualcosa di diverso dallo scempio che ci dicono essere generale. E lo si può vedere per il fatto che c’è. Negarlo perché accecati dall’ira è un delitto.
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