Vorrei condividere con i lettori de IlSussidiario.net le mail che, prima e dopo il dibattito presidenziale qui negli Stati Uniti, mi ha mandato un mio amico che conosco dai tempi della scuola superiore e che considero un acuto commentatore delle mode culturali.
“Nelle maggior parte delle passate elezioni presidenziali, i candidati non mi sono piaciuti e ho optato per scrivere un altro nome sulla scheda. […] Anche questa volta non mi piace l’alternativa proposta e sto considerando di nuovo la possibilità di inserire un altro nome. Tuttavia, forse a causa degli incontri con amici e parenti accaniti sostenitori della destra o della sinistra, ho deciso di fare un ulteriore sforzo di ripensamento, approfondimento e rilettura, per tentare seriamente di entrare nel pantano politico e vedere se mi è possibile appoggiare uno dei candidati. […] Sono stanco e disgustato da gente con ideologie esclusive, che non accetta, anzi neppure ascolta, idee che non rientrano nei loro preconcetti su ciò che è giusto. Sembra che Aristotele abbia detto che ‘è segno distintivo di una mente educata essere in grado di trattare un concetto senza accettarlo’. Sembra che molti non abbiano alcuna educazione in tal senso e non possano sopportare di ‘trattare’ un’opinione con cui non sono d’accordo”.
Il mio amico, invece di cercare le radici di questa paralisi culturale moderna, le si arrende. Infatti scrive: “Sono anche frustrato perché sono arrivato alla conclusione che non c’è alcun modo di arrivare alla verità”. E’ proprio questo il limite della cultura moderna: non c’è alcun modo per arrivare alla verità. Ma perché è impossibile conoscere la verità? Ecco cosa pensa il mio amico: “Non c’è abbastanza tempo nella vita per arrivare alla verità. La questione è troppo complicata e la verità è troppo sepolta da strati su strati di ‘fatti’ deformati ideologicamente”. Sarebbe, quindi, la nostra cecità culturale semplicemente una questione di mancanza di tempo? Perché la nostra strada alla verità non è il risultato positivo delle intuizioni di una comunità di ricercatori che arricchiscono la tradizione di un popolo?
Più eloquente è quanto il mio amico dice sulla ricerca religiosa della verità: “Sono giunto alla conclusione che prendere posizione nelle elezioni presidenziali equivalga a una scelta religiosa, non ci si può arrivare attraverso la conoscenza e la ragione. La fede è l’unica strada. I democratici e i repubblicani irriducibili lo sanno e non si curano dei ‘fatti’, loro hanno la fede. E’ più difficile per quelli di noi che stanno nel mezzo”.
Mons. Luigi Giussani descrive così questa situazione: “Quando infatti la morsa di una società avversa si stringe attorno a noi fino a minacciare la vivacità di una nostra espressione e quando una egemonia culturale e sociale tende a penetrare il cuore, aizzando le già naturali incertezze…”. E’ qui il nostro problema, non nella mancanza di tempo o negli strati dell’ideologia, ma piuttosto nella difficoltà di superare l’egemonia culturale che restringe il campo della nostra ragione ed esclude la trascendenza come dimensione necessaria della realtà.
Conclude il mio amico: “Domani ci saranno i dibattiti. Sto veramente aspettando una discussione aperta sulle questioni e spero vi sia chiarezza sulle posizioni dei candidati. Ma non sto trattenendo il fiato. Magari finirò per votare per chi indossa la cravatta più bella”.
Il giorno dopo il dibattito, mi ha inviato questa mail: “Credo che Jim Lehrer (lo stimato giornalista moderatore del dibattito) avesse la cravatta migliore”.