Vigilia di Natale

- Pierluigi Colognesi

Per noi “vigilia” significa semplicemente il giorno che ne precede un altro, soprattutto se quest’ultimo ha una particolare importanza. Ma in realtà è molto di più. PIGI COLOGNESI

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Siamo alla vigilia di Natale. Per noi “vigilia” significa semplicemente il giorno che ne precede un altro, soprattutto se quest’ultimo ha una particolare importanza, è una pura determinazione cronologica. L’originale latino, invece, indica tutt’altra cosa. La vigilia era il servizio di guardia notturna sulle torrette di un accampamento oppure sulle mura della città; era, più precisamente, il turno di vigilanza che la sentinella doveva trascorrere a difesa dei commilitoni o degli abitanti; la notte era infatti divisa in quattro vigiliae: dalle sei alle nove, dalle nove a mezzanotte, da mezzanotte alle tre e dalle tre alle sei, ora del risveglio di tutti. Dunque la vigilia non è caratterizzata dagli affannosi preparativi per il giorno seguente, ma da un allerta costante, da una spasmodica tensione a scorgere nel buio i segnali di un pericolo, da una lotta contro il rischio di addormentarsi quando tutto sembra calmo.

Si vigila perché si ha qualcosa di molto caro che deve essere difeso; non ci sarebbe nessuna ragione per montare di guardia se non si avesse un tesoro di amori, di amicizie e anche di convenienze da salvaguardare, per conservare il quale si accetta volentieri la fatica della veglia notturna. Veglia resa necessaria dalla realistica constatazione che quel tesoro è minacciato, che intorno all’accampamento possono aggirarsi lupi affamati o fuori dalla città essersi posizionato un esercito nemico (e non c’è bisogno di dilungarsi a documentare come questo si verifichi spesso) e allora la sentinella deve stare molto attenta, sia per accorgersi se il nemico vuol tentare un’incursione, sia per scorgere da lontano l’arrivo degli alleati cui si è chiesto aiuto per essere liberati dall’assedio.

È proprio questa l’immagine che Charles Péguy, nell’ultima opera da lui pubblicata, usa per descrivere il rapporto tra la grazia e la libertà: «Come bisogna che l’esperienza venga incontro alla ragione, così e con un movimento perfettamente uguale e perfettamente parallelo bisogna che la libertà vada incontro alla grazia. L’uomo è come una città assediata. Il peccato è quell’assedio perfettamente organizzato. La grazia è quell’esercito reale che viene in aiuto. 

Ma occorre che la libertà dell’uomo faccia una sortita, e che essa vada incontro a quest’esercito soccorritore. Con la creazione della libertà dell’uomo e per il gioco di questa libertà Dio si è messo alle dipendenze dell’uomo. Quando non ci si incontra, si è in due a non incontrarsi. Quando la grazia non trova la libertà venutale incontro, neanche la libertà trova la grazia. Il non incontrarsi è per forza duplice. Quando l’uomo manca Dio, Dio manca l’uomo».

Dunque, la vigilia è tutt’altro che una inedia passiva, è quell’attesa così carica di desiderio e di tensione, che è disposta a mobilitarsi non appena si manifestano i segni che ciò che si attende sta arrivando. Solo chi, come i pastori di Betlemme, era vigilante in questa attesa si è accorto di ciò che era accaduto in quella remota stalla. Ed era qualcosa che dava esorbitante compimento al loro desiderio. La sentinella si aspettava un drappello di alleati e sono arrivate legioni di angeli.

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