Povero san Silvestro! Schiacciato lì nell’ultimo giorno dell’anno, fa parlare di sé soltanto per il cenone e per il fatto che con la sua festa si abbandona l’anno che finisce e si inaugura quello nuovo. Un vecchietto, come il ciclo di giorni che termina, che probabilmente non ha fatto niente di interessante. Chi però volesse conoscere un poco meglio la sua storia verrebbe a sapere che è stato vescovo di Roma dal 314 al 335. È dunque salito sulla cattedra di Pietro l’anno successivo a quello in cui, col famoso «editto» di Milano, Costantino aveva dato libertà di culto ai cristiani; le biografie più superficiali ne fanno una «personalità debolissima», un pastore «poco idoneo a guidare la Chiesa» (parola di Wikipedia), soprattutto se paragonato alla debordante figura dell’imperatore. Per non parlare poi del fatto che a papa Silvestro sono state attribuite, nei secoli successivi, azioni e meriti che egli non ha mai avuto: il battesimo dell’imperatore e, soprattutto, la celeberrima «donazione» di Costantino, l’atto – dimostratosi un falso – con cui il padrone dell’impero avrebbe donato al Papa la città di Roma, dando così inizio al poter temporale della Chiesa.
In effetti Silvestro, che ha avuto un pontificato eccezionalmente lungo – 21 anni – per quel periodo, ha guidato la Chiesa in un momento estremamente delicato, sia internamente (battaglia contro le eresie, culminate nel primo concilio ecumenico a Nicea nel 325), sia esternamente: per la prima volta la Chiesa doveva rapportarsi con un potere statale non avverso, ma pur sempre tentato di utilizzarla per i propri scopi e, d’altro canto, essa poteva cadere nel pericolo di confondere il favore del potere politico col raggiungimento della propria missione di testimonianza. Proprio di questo tutta la tradizione «ghibellina», da Dante ai critici del «cristianesimo costantiniano», ha accusato il povero Silvestro.
I suoi contemporanei, invece, gli hanno assegnato, tra i primi nella storia della Chiesa, il titolo di «confessore». Il «confessore» è il cristiano che non ha dovuto versare il sangue per testimoniare la propria fede – come i martiri che hanno costellato il periodo delle persecuzioni -, eppure per quella fede ha dovuto incessantemente lottare e soffrire.
Non abbiamo molta documentazione storica su come Silvestro abbia dovuto «confessare» in modo sacrificato la sua fedeltà a Cristo, ma già pensando che razza di cambiamento storico abbia dovuto affrontare, quali problemi poneva un imperatore che si immischiava nei fatti ecclesiali e quanto poteva essere facile accontentarsi dell’appoggio del potere politico, si capisce che papa Silvestro si è guadagnato quel titolo. E in qualche modo continua a guadagnarselo, vista la meschina immagine che di lui continua a perpetuarsi.
Del resto la sua festa conclude una strana serie di celebrazioni che seguono il Natale: da santo Stefano ai santi Innocenti a san Tommaso Becket è tutta una scia di sangue. Come a dire che ci sarà sempre un potere – i farisei, Erode, il re d’Inghilterra – che tenterà di sradicare violentemente il virgulto di novità portato dal bambino nato a Betlemme. Silvestro aggiunge un colore particolare a questa scia: non il gesto eroico, ma la lotta permanente, la stabile vigilanza nel rapporto con ogni potere mondano, rispettato ma non idolatrato, usato senza asservirlo o farsene schiavi. E così papa Silvestro ci diventa un po’ più amico nella nostra analoga battaglia quotidiana.