O il cinismo o la preghiera

GIOVANNI MICCO ci parla di Thomas della sua vita: quarantenne padre di famiglia, vive da tempo sulla sedia a rotelle, essendo rimasto paralizzato dopo una caduta con il deltaplano

Thomas è un padre di famiglia quarantenne che vive nella parrocchia di Vienna dove lavoro e, da circa un anno, vive sulla sedia a rotelle, essendo rimasto paralizzato dopo una caduta con il deltaplano. Per tenergli compagnia, abbiamo deciso di invitarlo a pranzo nella nostra casa (siamo tre sacerdoti missionari che viviamo insieme) ogni mercoledì. Questo implica una serie di compiti: vuol dire che il mercoledì innanzitutto bisogna esserci, poi bisogna chiamarlo per sapere se viene, bisogna assicurare il passaggio della sedia a rotelle, occorre anche preparare il pranzo,  e così via…

Ho notato che la nostra casa si ridesta attorno a un compito comune. Prendendoci cura di lui, vengono portate a galla le nostre debolezze e anche le nostre forze. È come una radiografia della nostra casa. Quando c’è Thomas, spesso la conversazione a tavola è determinata o dalla tensione a rimanere generici per rispettare la sua condizione pietosa, oppure da una sorta di pietà verso di lui. Al contrario, il suo modo di affrontare i temi è sorprendente e disarmante. È solito ripetere: «Non ho quasi più nulla che mi possa essere tolto, quindi mi è più facile essere sincero». L’ultima volta che è venuto a trovarci, raccontava che la moglie ha deciso di lasciarlo.

I suoi problemi sono drammatici e pesanti, la sua vita quotidiana complicata. Anche accompagnare i bambini all’asilo è un’impresa ardua, e trovare le forze per alzarsi al mattino è una decisione per nulla scontata. In sua compagnia è molto più facile essere portati al punto decisivo della questione, che è un’alternativa secca: o il cinismo, o la preghiera. Penso che la preghiera sia l’unico atteggiamento adeguato per stare assieme a lui. Essa è ciò che cambia la rassegnazione cinica, o la compassione negativa, in passione. La passione è la forma più vera della pazienza, capace di accompagnare l’altro, di portare l’altro, perché si accorge che nell’altro c’è la presenza stessa del Signore. 


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