II mondo e il caso

È curioso il fatto, spiega JONAH LYNCH, che si possa interpretare la realtà in molti modi e, se ci si ferma ai particolari, si possono spiegare molte cose in modo puramente materialistico. 

Il mondo è frutto del caso? Come scienziato, posso benissimo guardarlo come lo straordinario sviluppo di un principio cieco, una lotta fra gli esseri per la luce e per le risorse a discapito degli altri. È una lettura delle cose che non posso negare in base a puri principi immanenti e materiali.

Insoddisfatto da questa “spiegazione”, qualcuno parla del principio antropico, che punta il dito sull’unicità della terra e sulla straordinaria coincidenza di tanti fattori fisici che rendono possibile la vita umana. Questi fattori comprendono le costanti della materia, che, se fossero state differenti anche di pochissimo, non avrebbero potuto generare la stabilità di temperatura e la ricchezza di connessioni atomiche tali da produrre il carbonio, necessario per tutte le forme di vita che conosciamo. Si possono accumulare indizi che dicono che la terra è un luogo speciale. Ma, anche qui, gli indizi non ci costringono a concludere che la terra è opera di un creatore buono.

Ci sono anche delle esperienze che ci suggeriscono che non tutto è materia e energia. Sono esperienze complicate, come l’amore, la coscienza, la libertà. Dove risiederebbe la sede della libertà, se tutto fosse materia? Nel cervello o nel cuore? Nel fegato? Nessuno è riuscito a dirlo. In realtà, già la domanda sembra una contraddizione, perché parlare di libertà vuol dire parlare di una cosa immateriale, che agisce però sulla materia, come le mie dita che scrivono. Qualcuno dice che la libertà, o la coscienza, siano un fenomeno «emergente»: se metti insieme abbastanza neuroni, a un certo punto riescono a guardare se stessi in azione. A me sembra un po’ come spazzare la polvere sotto il tappeto: non si vede più il problema, ma c’è lo stesso.

Una volta uno scienziato mi ha detto che la libertà è un’illusione. Gli ho tirato in faccia il mio bicchiere di acqua. Al che mi ha detto che anche questo atto era determinato dalla mia cultura e dalla genetica, e che non l’avevo compiuto liberamente…

Questo esempio ci conduce al punto. Ci sono, alla fine, poche strade fondamentali per interpretare la realtà. Il mio atto di fede è credere nell’unità del reale. Si può anche credere nell’irrazionalità ultima di ogni cosa, oppure credere che tutto è una proiezione della propria mente. Queste sembrano, però, strade poco eleganti, poco serie, specialmente quando osserviamo la straordinaria razionalità del mondo. In ogni caso, sono tutti degli atti di fede.

È curioso il fatto che si possa interpretare la realtà in molti modi e, se ci si ferma ai particolari, si possono spiegare moltissime cose in modo puramente materialistico. Difatti, è tipico di Dio non imporsi alla nostra interpretazione. Il creatore non si impone alla nostra comprensione, non ci obbliga a riconoscerlo. È lo stesso stile che notiamo nelle parabole. Gesù si offriva alla libertà degli uomini, senza costringerli con ragionamenti ferrei. E anche davanti alla domanda esplicita, «Sei tu il Cristo?», rispondeva in modo misterioso. Vuole che aderiamo con tutto noi stessi, né come schiavi obbligati dalla Sua volontà né come schiavi intellettuali, costretti da un sillogismo che lascia fuori il nostro cuore.


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