Oltre i pro-life
Quando il parlamento voterà sulla nuova legge sull’interruzione della gravidanza, tenga conto dell’opera dei centri cha aiutano le mamme che vogliono tenere il bambino. FERNANDO DE HARO

Nella Spagna del dopo Zapatero non si discute soltanto del salvataggio economico che il governo Rajoy deve chiedere a Bruxelles e non si protesta soltanto ideologicamente affinché il welfare state venga mantenuto così com’è, cosa impossibile da ottenere. Sembra infatti imminente la presentazione di un disegno di legge per riformare la regolamentazione dell’aborto da parte del ministro della giustizia, Alberto Ruiz Gallardòn, l’esponente più a sinistra del Governo Rajoy.
Il progetto è interessante soprattutto perché rappresenta uno dei primi tentativi di “controriforma” dopo una legge come quella di Zapatero, che ha trasformato l’aborto in un diritto della donna. Attualmente l’ordinamento prevede la possibilità di interrompere liberamente la gravidanza nelle prime 14 settimane dal concepimento ed entro le prime 22 qualora il feto presenti malformazioni. Il termine arriva fino alla fine della gravidanza nel caso in cui risultino esserci nel feto “malformazioni incompatibili con la vita”.
Già qualche mese fa il ministro Gallardòn ha sollevato una polemica che è stata come un siluro diretto allo scafo del femminismo che dagli anni ’70 sostiene la necessità di un aborto libero affinché la donna “possa decidere”. Gallardòn ha fatto notare che la legislazione abortista ha creato un tale pressione sociale sulle donne che molte di quelle che vorrebbero portare avanti la gravidanza non lo riescono a fare. Le affermazioni del ministro sono state accompagnate da studi che mostrano come in Spagna, nei servizi sociali che dipendono dai comuni e dalle altre amministrazioni, l’unica raccomandazione che viene fatta alle donne, nel momento in cui sorge un problema, è quella di abortire. La stessa cosa succede nella maggioranza degli ospedali, sui luoghi di lavoro e anche negli ambienti famigliari.
Le argomentazioni del ministro erano provocatorie e raccoglievano la sensibilità di alcune opere sociali che in Spagna si adoperano per aiutare le giovani in difficoltà. Si tratta di opere sociali molto impegnate con la realtà e che hanno sviluppato persino un nuovo discorso in favore della vita che può considerarsi “post pro-life”. L’enfasi, infatti, è posta non tanto sulle ragioni del valore oggettivo della vita dal concepimento fino al termine naturale – che pure continuano ad essere assolutamente valide – bensì sulla situazione esistenziale di molte donne che vedono di fatto limitato il loro desiderio di diventare madri. La filosofia pro-choice, emblema del femminismo abortista, si trasforma così in una difesa della vita e della madre. Il ministro Gallardòn ha avuto l’intelligenza di recepire questo “femminismo della maternità” e di farlo suo.
Il ministro Gallardòn ha avuto l’intelligenza di recepire questo “femminismo della maternità” e di farlo suo. Il progetto di legge sarà reso pubblico nei prossimi giorni e dovrebbe limitare anche il diritto di abortire il feto con malformazioni. Anche in questo caso le ragioni addotte sono ugualmente provocatorie: se una democrazia si caratterizza per trattare l’eguale come l’eguale e il diseguale come il diseguale, che motivo c’è perchè un portatore di handicap che non è ancora nato venga trattato in modo peggiore di un portatore di handicap qualunque? Se già facciamo di tutto affinché un portatore di handicap fuori dal seno materno possa avere le medesime opportunità di un non disabile, perchè non adottare lo stesso criterio quando il disabile è nel seno materno?
Non è ancora chiaro come si presenterà la nuova legislazione sull’aborto in Spagna. Il ministro Gallardòn, inoltre, è un noto “trasformista” politico e alla fine potrebbe anche sostituire la presente legge imperniata su limitazioni temporali all’aborto con una nuova costruita intorno all’ipotesi del danno psicologico che una gravidanza può portare alla madre, in modo che così l’aborto possa continuare ad essere libero. Ad ogni modo, le proposte di Gallardòn stanno contribuendo a far sì che, in un paese dove la prima legge sull’aborto compie trent’anni, il dibattito sia concreto e non ideologico. In questi 30 anni, infatti, molte donne hanno abortito e sappiamo cosa ciò significhi da un punto di vista esperienziale e sociale. Non parliamo della libertà di scelta in modo generico e astratto, come se non avesse alcuna consegeunza negativa. Lo sappiamo, sul terreno dell’esperienza concreta, tutto tende a diventare più chiaro.
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