La “rivolta” tedesca contro Monti
L’intervista rilasciata dal Premier italiano Mario Monti allo Spiegel ha scatenato dure reazioni in Germania. GIUSEPPE PENNISI ci aiuta a capirne la reale portata

Come spiegare la dura reazione bi-partisan all’intervista data dal Premier italiano Mario Monti al settimanale Der Spiegel? Il Professore è stato molto attento nel rispondere alle domande fattegli sia prima, sia dopo il Consiglio della Banca centrale europea (che ha sostanzialmente ridimensionato le aspettative suscitate dalle dichiarazioni fatte la settimana precedente dal suo Presidente, Mario Draghi, nel corso di una riunione pubblica a Londra). Monti parla perfettamente il tedesco; quindi, ha misurato il suo riferimento all’interazione tra Governi e Parlamenti nel corso di negoziati europei (la parte dell’intervista che ha fatto perdere le staffe a numerosi tedeschi). Quindi, non è stato un caso di lost in traslation.
Dato che in passato ho insegnato pure all’Università di Postdam, vorrei azzardare un’ipotesi che non è apparsa sinora sui media italiani. È probabile che gli uffici della Presidenza del Consiglio e l’Ambasciata d’Italia a Berlino (dove è in corso un delicato passaggio di consegne) non si rendano conto di quanto, nel loro piccolo, gli economisti tedeschi si inalberano quando avvengono episodi che fanno loro perdere le staffe. Questo è a mio avviso un aspetto molto più importante del vero o supposto faux pas che sarebbe avvenuto all’ultimo Consiglio europeo a Bruxelles, con la conferenza stampa del Presidente del Consiglio all’alba (per annunciare il peraltro mai creato scudo anti-spread) senza un’intesa preventiva con il Cancelliere, andato a riposare in attesa di una conferenza congiunta a metà mattinata sulla base di termini ben concordati.
Gli economisti tedeschi soffrono, un po’ come gli italiani e i francesi, di essere poco apprezzati e conosciuti a livello internazionale, a ragione della preminenza (in termini di notorietà) degli economisti americani e britannici (nonché di quelli degli antipodi – Australia e Nuova Zelanda – e ora pure di quelli asiatici). In effetti unicamente Hans-Werner Sinn del CESifo e Wilhelm Hankel (conosciuto in Italia perché ha insegnato a lungo a Bologna) sono noti all’estero – e Hankle (peraltro persona squisita) lo è principalmente come primo firmatario del riscorso anti Salva-Stati alla Corte costituzionale tedesca.
Un paio di settimane fa, un professore, quasi sessantacinquenne, di statistica economica alla Università Tecnica di Dortmund (noto, nella Repubblica Federale, specialmente per i lavori fatti sulla “catena di Markov”), Walter Kraemer, ha stilato una lettera attaccando duramente Governo e Cancelliere per le idee presentate in materia di “unione bancaria” e “unione politica”. La lettera è stata firmata da 250 accademici tedeschi (tra cui Sinn che di Angela Merkel è consigliere) e diffusa in tedesco e in inglese su vari siti (nel silenzio della stampa italiana). Il tono della lettera è particolarmente scioccante: l’unione bancaria e l’unione politica sarebbero strumenti per “socializzare il debito sovrano” con effetti distorsivi su “investimenti pubblici e privati” tali da frenare ulteriormente la crescita in Europa e di inviare “cattivi segnali” agli europei, premiando le cicale e penalizzando le formiche.
La lettera non ha contenuti tecnici. Infatti, non è stata scritta per un pubblico tecnico, ma per quello che un tempo veniva chiamato “l’uomo della strada”. Da una decina di giorni, si cerca, in qualche modo, di riparare: Frank Heinemann, dell’Università di Berlino, e Gerhard Illing, di quella di Monaco, hanno trovato un paio di centinaio di economisti (tra cui alcuni firmatari della lettera di Kraemer) per firmare un testo piuttosto vago in cui si dice che “l’unione bancaria” è “critica per salvare l’euro”, ma non si precisa se tale salvataggio sia auspicabile.
Il bailamme tra accademici ha avuto almeno un risultato: di economisti tedeschi si parla sulla stampa americana e britannica. Ne avrebbe dovuto avere un altro: fare comprendere ai Governi dei Piigs quanto sia delicata la materia e quanto sia forte (anche nel modo intellettuale) l’opposizione a un’Angela Merkel vista troppo condiscendente nei confronti di chi ha razzolato male. In questo clima, sfiorare anche solo di sfuggita le prerogative del Parlamento tedesco è una vera e propria bomba.
Ciò ha anche un’altra implicazione: siamo già commissariati (non dal Governo tedesco, ma dal ceto intellettuale della Repubblica federale, come dimostra il dibattito in corso di cui sopra). E non ce ne accorgiamo. O facciamo finta di non accorgercene.
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