Lo scorso 7 giugno papa Francesco ha incontrato insegnanti e studenti di scuole gestite da suoi confratelli gesuiti, rispondendo a braccio alle domande dei presenti. Una bambina gli ha chiesto come mai avesse deciso di non trasferirsi negli appartamenti riservati al pontefice e di essersi, invece, insediato nel convitto di Santa Marta, come uno dei tanti funzionari e impiegati che lavorano in Vaticano. «Per me è un problema di personalità. Io ho necessità di vivere fra la gente e se vivessi solo, forse un po’ isolato, non mi farebbe bene» ha detto il Papa. Ed ha aggiunto che la stessa domanda gli era stata rivolta anche da un professore e di aver risposto: «Per motivi psichiatrici. Perché è la mia personalità». Se andiamo al di là della solita manfrina del Papa alla mano, che usa un linguaggio immediato, che sta al livello della gente, troviamo in queste risposte una profondità che sorprende e pacifica. Anzitutto l’uso della parola «psichiatrici» per definire i motivi della scelta.
Papa Bergoglio sa l’italiano ed è pienamente consapevole che quella parola evoca ombre preoccupanti, allude ad una sfera che inquieta e che non si vuol tanto facilmente mettere di fronte agli altri, come se si trattasse sempre di qualcosa che non è tanto a posto e, comunque, si vorrebbe diversa. Ed invece il Papa ci rassicura, come se dicesse: Vedi, io sono fatto così, devo stare in mezzo alla gente, perché altrimenti la mia psiche ne risentirebbe. Ma se sono fatto così è proprio con queste caratteristiche psichiche che devo rispondere alla vocazione che ho ricevuto, svolgere il compito che mi è stato assegnato. Pertanto non avere paura: la tua psiche è quella che è, ha degli aspetti che ti sembrano dei limiti ed altri che ti soddisfano; gli uni e gli altri sono risorse per compiere il tuo cammino. Se infatti tu perseguissi un immaginario stato di «normalità» – che poi non esiste o magari è deciso da quelli che determinano la mentalità dominante -, non cammineresti più.
Accetta il «come» sei – «unico e irripetibile» avrebbe detto il mio predecessore Giovanni Paolo II – e questo farà bene a te, al tuo compito nel mondo, a chi ti sta vicino. L’altro insegnamento riguarda l’espressione «È la mia personalità». Verrebbe da dire – e i farisei di tutti i tempi e di tutti gli indirizzi ideologici l’han sempre detto – : «Va beh, hai la tua personalità, ma adesso sei il papa di tutti e quella personalità devi metterla tra parentesi per indossare paramenti neutrali che si confanno al tuo ruolo». Niente è più anticristiano di questa asettica e appiattente neutralità. Gesù sapeva bene che Simone figlio di Giovanni avrebbe dovuto utilizzare tutto il suo carattere «pietroso» per svolgere il proprio compito di capo degli apostoli; tanto quanto il giovane e sensibile Giovanni avrebbe dovuto approfondire la sua delicatezza di personalità per accogliere e curare la Madonna. Guardiamo poi tutta la storia della santità nella Chiesa: è un susseguirsi di «personalità» radicalmente diverse le une dalle altre, di temperamenti miti o focosi, avventurieri o riservati, allegri o malinconici, di intelligenze mediocri o vivacissime. Ognuna di queste personalità ha lasciato la sua inconfondibile nota nella sinfonia generale. Lo Spirito, infatti, è eminentemente fantasioso, rifugge l’omologazione istituzionalizzata ed ama la multiforme ricchezza di un coro con diversissimi accenti.