Buon anno

- Pierluigi Colognesi

Dopo aver brindato all’inizio del nuovo, tutto ci sembrerà, tutto sommato, uguale a prima. Eppure, non sarà così. PIGI COLOGNESI spiega perché ciò che faremo sarà radicalmente diverso

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Il brano conclusivo dell’ultimo dei Quattro quartetti di Eliot si attaglia perfettamente alla riflessione che si può fare sul passaggio dal 2013 al 2014: «Ciò che chiamiamo il principio è spesso la fine / e finire è cominciare. / La fine è là donde partiamo». Il passaggio d’anno sarà un attimo, un istante che sfugge dalle mani e, dopo il conto alla rovescia, con in mano il calice di spumante e intorno, augurabilmente, persone care, improvvisamente il 2013 sarà finito. E subito ci scambieremmo gli auguri per il 2014 che nel frattempo, senza chiederci il permesso, avrà già iniziato il suo corso. Finita la festa non ci potremo togliere l’impressione che in fondo in quel fatidico istante non sia successo gran che, se non la celebrazione di una convenzione resa necessaria dall’utilità di scandire il tempo in unità calcolabili; la vita continua nell’anno nuovo grosso modo con caratteristiche, preoccupazioni, desideri di quello defunto. Ma non è esattamente la stessa cosa – lo sappiamo bene -: quando ci chiederanno l’età dovremo aggiungere una unità a quanto rispondevano l’anno scorso; lo stesso sarà per chi ci sta vicino; quello che dovremo fare sarà molto simile a quello che abbiamo sempre fatto, ma indiscutibilmente, radicalmente diverso. L’anno nuovo non è una ruota che ritorna su se stessa, ma un pezzo di segmento assolutamente imprevedibile, un tratto ignoto di navigazione.

E, per dirla ancora con Eliot: «non cesseremo di esplorare». È vero che, come aggiunge Eliot, «alla fine dell’esplorazione / saremo al punto di partenza».

Lo saremo però non come chi abbia fatto un inutile viaggio o si sia invano affannato dietro scopi ultimamente insignificanti, ma come chi ha camminato verso l’essenziale, la purezza originaria. Per cui potremo dire: «E tutto sarà bene, e / ogni sorta di cose sarà bene». Tutto quello che il flusso del tempo trascina con sé, tutti i segmenti che l’hanno composto, tutti i tratti di navigazione – in bonaccia o in tempesta – che abbiamo effettuato si comporranno in una destinazione buona, quella per cui in un certo giorno di un certo anno la nostra imbarcazione è stata immessa in quel flusso.

Perché il flusso ha una destinazione, un senso di marcia; non è un gorgo che rifluisce su se stesso. Eliot vi aveva riflettuto nei Cori da “La Rocca”. C’era «deserto e vuoto» sull’abisso del mondo, ma poi la navicella dell’umanità cosciente iniziò il suo viaggio nello scorrere del tempo alla ricerca di una fine che fosse anche eterno principio, di una salvezza. Ma gli uomini non avevano imbarcazione sufficientemente adatta per simile impresa e mille volte si ritrovarono di nuovo in «deserto e vuoto». Ma qualcosa è accaduto: «Giunsero, in un momento nel tempo e del tempo» che «diede il significato». Perché «senza significato non c’è tempo».

Quando dunque domani sera ci augureremo «Buon anno», con un brivido di consapevolezza dovremo affermare per noi stessi e per gli altri che il significato c’è, che il tempo non è cieco, che finire è cominciare. Buon anno.

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