2015, l’oroscopo sconfitto dagli affetti
La fine dell’anno segna il grande appuntamento degli oroscopi: sempre più in vista nei programmi televisivi e sempre più esposti nelle edicole. SALVATORE ABBRUZZESE

La fine dell’anno segna il grande appuntamento degli oroscopi: sempre più in vista nei programmi televisivi e sempre più esposti nelle edicole. Una tale presenza non ha nulla di scontato. Non si può infatti negare come, ancora alla metà degli anni Sessanta, l’oroscopo non fosse che un protagonista minore e scarsamente frequentato. Nell’Italia delle borgate, dove dai calendari di Frate Indovino in cucina si passava alle luci delle discoteche e al frastuono delle Gilera, il pensarsi alla vigilia di un futuro felice dove nulla avrebbe impedito al nuovo imminente di arrivare costituiva ancora una certezza condivisa per la quale il ricorso all’oroscopo era secondario.
Oggi l’oroscopo, i segni dello zodiaco occupano un ruolo chiave e la loro consultazione è richiesta da un’audience sempre più vasta. Che ci piaccia o no è il tramonto di un’epoca, dove al popolare si è sostituito l’effimero e a questo ha fatto seguito l’euforico. Dentro la festa televisiva di fine anno nella quale tutti vorremmo immergerci, si coltiva ancora la speranza di un futuro imminente denso di felicità, ma proprio la crescente incertezza circa il suo concreto arrivo fa della consulenza degli esperti in segni zodiacali una presenza sempre più richiesta.
Gli oroscopi posti in posizione dominante, unici indicatori del futuro possibile, rivelano così un universo sociale tanto incerto quanto intristito, dove all’originario desiderio di felicità si somma la convinzione di dipendere da casualità che non si possono controllare. La felicità non appare più come l’esito di un percorso, il risultato di un’opera, la serenità conseguente a un lavoro ben fatto, ma sopravviene in modo inatteso e casuale; ed è comunque effimera, momentanea, frutto di un’occasione da cogliere, in piena controtendenza rispetto al quotidiano banale e deludente. Alla felicità come esito di un percorso si sostituisce la gioia che appare per caso e proprio per questa sua imprevedibilità non può essere individuata che dagli strumenti che si ritengono capaci di prevederla.
È significativo e merita più di una riflessione lo scenario di una società come quella moderna che, dopo aver rivendicato e ottenuto per il singolo la libertà totale e lo svincolo più radicale da qualsiasi legame, veda la felicità come il frutto di un evento casuale, un caso fortuito, una fatalità che solo gli astri possono predire. C’è qui qualcosa di più di una semplice moda culturale, siamo infatti dinanzi a una perdita di connessione tra la felicità e ogni opera ordinaria.
Per un numero sempre più vasto di persone, al di là di chi occupa i piani alti del successo, nessuna felicità può provenire dalla vita quotidiana, dal proprio costruire ed edificare, tutto appare invece come l’esito della più pura casualità, della più elementare e imprevista fortuna. È in questa cultura dell’attimo fuggente che gli oroscopi diventano i veri protagonisti dell’unica informazione che conti: quella che parla di noi.
La potente imponenza della libertà della quale parlava ieri Federico Picchetto resta inoperante: al massimo può condurre alla democrazia, per la felicità è tutto un altro discorso. Ed è proprio perché la felicità è percepita come il risultato della pura casualità che la sua assenza ci appare come una somma ingiustizia, la manifestazione di un destino “cinico e baro” che sembra colpirci senza riguardo.
E se la felicità è il risultato di un caso, solo un altro evento di pari forza, non più casuale ma deciso personalmente, può ribaltare le cose: nasce così l’idea dell’azione soggettiva che si impone sulla realtà oggettiva, spesso in modo violento e lacerante. A un evento che non si è verificato si può replicare con un evento coscientemente provocato, capace di instaurare quella felicità che il primo, con la sua assenza, ha immeritatamente negato. All’evento mancato, magari atteso attraverso gli oroscopi, si sostituisce l’avvenimento voluto e imposto dalle azioni personali.
Ci si deve allora chiedere se esista una felicità non casuale né effimera, ma voluta, cercata e edificata attraverso una rete di legami stabili e reali, attraverso l’affezione a un’opera. Ci si può chiedere se, al di là del casuale, si possa recuperare la rete delle felicità reali, quelle che si costruiscono attraverso le relazioni con gli altri significativi, con affetti destinati a durare.
Per questo secondo tipo di felicità l’oroscopo non serve, mentre per il primo, quello della felicità percepita come occasionale e fortuita, restano gli spettacoli televisivi dove i segni dello zodiaco tengono banco, a misura dell’incertezza degli affetti.
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