Un errore di calcolo, il nervosismo dettato dalla paura di perdere il potere: nei prossimi giorni diventerà chiaro perché il chavismo la scorsa settimana si è reso protagonista di un auto-golpe per poi cercare di ingranare subito la marcia indietro. Tutto sembra indicare il fatto che siamo di fronte a una guerra civile all’interno dello stesso chavismo: Maduro non controlla tutti i fili. Quelli delle decisioni dell’Alta corte di giustizia, che opera come una Corte costituzionale, sono controllati dall’esecutivo, a sua volta controllato da Maduro. Tuttavia ci sono indizi che fanno pensare che le sentenze che hanno svuotato di competenze il Parlamento siano opera dell’ala estrema del chavismo guidata da Diosdado Cabello. E Maduro si sarebbe opposto a tale decisione. Questo spiegherebbe le critiche di Luisa Ortega Díaz, donna che ha prestato diversi servizi al regime. Le sue parole critiche verso la corte e la condanna dell’auto-golpe che ha pronunciato al Consiglio di difesa nazionale, un organismo sotto il controllo del Presidente, sono state sorprendenti.
I fatti di settimana scorsa sono avvenuti nel momento più inopportuno, visto che l’Organizzazione degli stati americani, dopo diversi anni di dubbi in merito, stava valutando se applicare al Venezuela la Carta democratica interamericana, che avrebbe nella pratica certificato una situazione di dittatura o semidittatura. Privare il Parlamento delle sue prerogative non ha lasciato più dubbi agli altri paesi della regione circa la decisione da prendere. Dunque, per chi voleva mantenere ancora una certa apparenza di democrazia, quanto accaduto è stato davvero inopportuno. Non certo per gli estremisti, per quella fazione dell’esercito coinvolta in affari di riciclaggio e narcotraffico, per cui è anche meglio che non ci siano mai più elezioni.
In realtà, il golpe in Venezuela è stato al rallentatore. Prima c’è stata l’incarcerazione di molti oppositori (113 prigionieri politici), tra i quali Leopoldo López. Poi è arrivato il blocco permanente del Parlamento, l’uso della Corte Suprema per convalidare un decreto di emergenza alimentare che era stato respinto dall’opposizione, gli ostacoli al referendum revocatorio e la sua successiva sospensione, così come la rimozione delle elezioni locali. Infine, il meccanismo complesso, vincolante e impossibile, per i partiti di opposizione che volevano iscriversi di nuovo al Consiglio elettorale nazionale. Decisione che, in realtà, implicava il fatto che le elezioni presidenziali del 2018 fossero a partito unico.
Nel peggiore dei casi Diosdado Cabello e l’ala radicale del chavismo non hanno fatto male i loro conti e hanno semplicemente cercato di aumentare ulteriormente la polarizzazione, con violenza nelle strade, per giustificare la cubanizzazione definitiva del regime. Si preannunciano tempi ancora più difficili per il Venezuela. L’opposizione deve riuscire ad arrivare a quell’unità che finora non ha raggiunto. Ora è più che mai necessario lottare per la libertà, senza cadere nella provocazione di un regime diviso. Tutto questo in un Paese dove la metà delle famiglie che vive in aree urbane si trova in una situazione di estrema povertà e dove il 76% della popolazione ha problemi per l’alimentazione, i medicinali e l’assistenza sanitaria. Le entrate del 93,3% delle famiglie venezuelane sono insufficienti per comprare cibo e il 32,5% di loro (9,6 milioni di persone) mangia solo due o meno volte al giorno. L’inflazione è del 1.660%.
La cosa sorprendente è che mentre si vive nelle code (cercando di ottenere un po’ di sostentamento), smettendo di mangiare perché i bambini abbiano un boccone, senza le medicine più elementari, la violenza venga solamente dall’alto. Ancora una volta il chavismo incita alla lotta e non trova che una risposta pacifica. È importante, è un segno che c’è un Venezuela che è già libero, che ha la libertà di non versare sangue. Questo Venezuela che è già libero è quello che condivide la “pentola comunitaria” in molte chiese: sulla porta della cattedrale di Merida un cartello avvisa che “non bisogna fare coda per mangiare”. Un piatto e un po’ di conversazione per non lasciarsi sopraffare dalla disperazione. Il Venezuela che è già libero soffre dietro le sbarre. Si può non essere d’accordo con la posizione di Leopoldo López, ma non si può non rimanere sorpresi da come è cresciuta la sua statura umana: il potere dei senza potere, come diceva Havel.
Alcuni giorni fa, Leopoldo López ha raccontato quello che gli stava accadendo in carcere: “Il processo del pensiero per tutti gli esseri umani è una conversazione con se stessi, ma è una conversazione che in condizioni normali spesso passa inosservata. Ma quando si è isolati, da soli, il processo di parlare a se stessi diventa più evidente e presente”. E ha aggiunto: “Prima di essere imprigionato pregavo ogni giorno. Ma è qui che ho scoperto il vero significato della preghiera. Ecco, la preghiera è una conversazione intima con Gesù. È a partire dalla preghiera che ho potuto costruire tutto il resto”. Il potere di Leopoldo, come quello di Mandela, di Luther King, di tutti i venezuelani che non si lasciano dominare dalla spirale di odio, che non perdono la speranza sotto una dittatura indesiderabile, è il potere dei senza potere.