Il sospetto di non essere amati

- Federico Pichetto

Due 16enni che picchiano un compagno di scuola, efferati omicidi di fidanzate o di intere famiglie: che cos’è quest’onda di violenza che s’avanza tra noi? FEDERICO PICHETTO

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Carabinieri (LaPresse)

La violenza è figlia di una promessa tradita. Due sedicenni che a Bergamo picchiano un compagno di scuola, storie torbide che raccontano di rapporti sessuali estremi, efferati omicidi di fidanzate o di intere famiglie: che cos’è quest’onda di terrore che s’avanza lentamente ma inesorabilmente fra noi, distratti dal chiasso della politica e dei media? Da dove viene tutto questo male, questo improvviso raptus, che sembra pervadere e corrodere tutta la nostra società? 

Tutto parte dalla solitudine, ossia dal concepire l’altro — il rapporto con l’altro, ma anche il pensiero dell’altro su di me — come colui o colei dal quale o dalla quale ci aspettiamo tutto. Spesso ci appare che la nostra vita “funzioni” se ottiene tutto quello che vuole e se gli altri hanno una fortissima opinione di noi. Si crea, insomma, una specie di sistema mentale in cui la mia felicità dipende da te, sei tu che — per dovere o per amore — puoi darmi tutto quello che mi serve: tu sei la vita che mi è stata promessa.

Martin Buber, grande filosofo ebreo del novecento, sosteneva che il nostro fosse il tempo in cui il Tu dell’altro è ridotto all’Esso: sarebbe in atto un processo di cosificazione dei rapporti umani destinata a spersonalizzare le persone e, quindi, a considerarle “a disposizione” del capriccio di turno. Se dunque tu mi porti la felicità, se la mia felicità senza di te non esiste, allora ciò significa che nel momento in cui tu tradisci questa promessa che porti, tu smetti di avere un valore e resti semplicemente una cosa. Viviamo circondati di cose e su queste cose scarichiamo grandi aspettative: è sul bisogno che il bene esista, che il bene entri nella mia vita, che si instilla la tentazione di ridurre quello che il mio cuore attende a quello che i miei occhi vedono. Non appena chi abbiamo di fronte smette di apprezzarci, di fare il nostro gioco, o mette in discussione chi siamo o come amiamo, è lì — in quel preciso punto — che scoppia la violenza. 

Il nostro è quindi un desiderio rimpicciolito, un desiderio che si accontenta di quello che vede, un desiderio che non è più capace di riconoscere tutta l’ampiezza e la profondità del cuore e che, pertanto, si lascia illudere da tutto. La violenza non cessa all’ennesimo sermone televisivo, all’ennesima azione educativa o all’ennesima punizione: la violenza cessa quando si riapre il desiderio, quando il cuore ricomincia a desiderare cose grandi e comprende che chi ha davanti non è ciò che si aspettava, ma è l’inizio di quello che il suo cuore attendeva. La nostra società non cambierà quando finirà la crisi, ma quando sperimenterà un Bene così imponente da veder svanito nel nulla il sospetto più terribile che affligge l’uomo, il sospetto di non essere amato.

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