La svolta di Cdp in Tim che sfata i miti del liberismo
L’esito dell’assemblea Tim ha rinfocolato le accuse di statalismo a Cdp: nei fatti la difesa dell’interesse pubblico con strumenti di mercato sfata i miti del liberismo. GIANNI CREDIT

L’esito dell’ultima assemblea Tim – favorevole alla cordata Elliott, appoggiata anche da Cassa Depositi e Prestiti contro Vivendi – continua a essere pesantemente criticato dagli opinionisti iper-liberisti. I quali si mostrano anzitutto spaesati davanti a uno sviluppo insidioso per gli schemi datatidella finanza di mercato non meno che per gli esiti dei singoli “deal” in progress o in preparazione.
Non c’è dubbio che i critici avrebbero preferito che su Tim – tuttora il maggior operatore tlc nazionale su rete fissa- il governo italiano fosse obbligato a usasse i golden power: cioé lo strumento codificato dalla dottrina e dalla prassi del liberismo come unica arma di retroguardia per lo statalismo. La narrazione sottostante è evidente: la regola prevede solo il gioco degli interessi finanziari di mercato, con divieti assoluti di interferenza. Soltanto l’eccezione – ex post, spesso a buoi scappati – consente a uno Stato può far valere le ragioni di un “interesse pubblico/nazionale” che il liberismo globalista non riconosce e scredita continuamente nel tentativo di sradicarlo dall’economia. Se e quando uno Stato interviene (soprattutto se non è uno Stato di autorevole tradizione dirigista come ad esempio quello francese) finisce quindi inevitabilmente per “sporcarsi le mani”, per finire da subito sul banco degli imputati dei tribunali globalisti. Nei quali la pubblica accusa è sempre sostenuta in tempo reale da giornalisti, accademici e think tank assortiti.
Su Tim è andato tutto molto diversamente. Anzitutto: la critica alla situazione proprietaria e strategica del gruppo è venuta da un grande operatore di mercato globale come Elliott. La gestione egemone di Vivendi su Tim (con molti profili di conflitto d’interesse e peraltro in nome di una quota non superiore al 27%) per Elliott sotto-valorizza il gruppo: impedisce lo sviluppo della società e quindi anche un corretto ritorno per gli azionisti. Migliaia di battaglie di Borsa, nell’ultimo trentennio, si sono svolte con questo copione fra gli applausi dei liberisti. Nell’Italia del 2018 si è però aggiunto un dato inedito: l’interesse del mercato (correttamente inteso) a “liberare valore” in Tim è coinciso con l’interesse (pubblico e proprio) dello Stato a sbloccare lo stallo sullo scorporo della rete.
Da anni il governo italiano ha annunciato grandi investimenti per dotare l’intero sistema Paese di accesso alla banda larga, facendosi promotore attivo della trasformazione della rete Tim in piattaforma-Paese, aperta a tutti i competitor come anche Tim. Ha più volte chiamato Tim al tavolo delle trattative, facendovi sedere Cdp, ormai consolidata nel ruolo banca di sviluppo pubblico-privata. Ha avanzato proposte compatibili con gli standard di un grande gruppo quotato. Ha sempre ricevuto rifiuti sostanziali e – peggio – risposte di gomma: non compatibili con la correttezza di rapporti verso i poteri pubblici cui è certamente tenuto un grande gruppo nazionale, pur controllato da un soggetto residente in un altro paese-membro della Ue.
E’ nata da qui la decisione – da parte di un soggetto dotato di una sua autonomia come la Cdp – di impiegare inizialmente la finanza pronta alla voce “Banda Larga” per acquisire il 5% (non il 51%) di Tim e affiancare un progetto finalizzato ad accelerare il raggiungimento degli obiettivi pubblici sulla rete. Dove sta l’anomalia? E’ questo che sta presumibilmente rendendo furenti certi critici: aver visto all’opera uno Stato non nei panni dell’intruso ritagliatigli dal liberismo, ma senza aver timore di perseguire un interesse pubblico con corretti strumenti di mercato all’interno di una situazione di fisiologia del mercato.
Vincent Bolloré non era il mercato “a prescindere”, non aveva ragione in anticipo in quanto “privato e non italiano”. Certo, e la Cdp – con lo Stato italiano – avrà ragione se riuscirà a raggiungere i suoi obiettivi rispettando le regole del gioco che si è posta. Ma sicuramente la svolta in Tim ha avuto l’effetto di sgombrare il mercato e il modo di pensarlo da troppo residuati delle guerre (perdute) del liberismo ortodosso.
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