Musei, non solo gratis…

Alberto Bonisoli intende mettere in discussione l’ingresso gratuito nei musei ogni prima domenica del mese. Difficile dargli torto, spiega GIUSEPPE FRANGI

Il 5 luglio scorso, prima domenica del mese, al Colosseo sono entrate 35mila persone. A Pompei hanno dovuto chiudere temporaneamente per overbooking a 15mila visitatori presenti in contemporanea nell’area archeologica. Non so come sia stato agli Uffizi, ma le cose anche lì non devono essere andate diversamente. Com’è noto la prima domenica del mese, per iniziativa presa qualche anno fa dall’ex titolare del MiBact Dario Franceschini, si entra gratis nei musei statali italiani. Per effetto imitazione moltissimi comuni si sono adeguati, così anche i musei gestiti da enti locali quel giorno hanno accesso gratuito. Ora il successore di Franceschini, il ministro Bonisoli, ha deciso di fare marcia indietro: da settembre la gratuità non è abolita, ma sarà a discrezionalità dei direttori dei singoli musei.

Difficile dargli torto. E i motivi sono molti. Innanzitutto l’ingresso gratuito ha comportato un ulteriore sbilanciamento del pubblico a favore dei grandi musei. Sono le istituzioni più grandi a esercitare un’attrattiva verso il pubblico generico, che non a caso si accalca al Colosseo o a Pompei, approfittando della gratuità. Secondo il disegno di Franceschini, l’ingresso libero avrebbe dovuto favorire una maggiore consapevolezza del pubblico rispetto al patrimonio, che è innanzitutto quello diffuso dei piccoli musei locali. Invece la sensazione è che l’iniziativa, “drogando” i numeri degli accessi si sia tradotto soprattutto in un successo d’immagine per il ministero con poche ricadute reali sul sistema nella sua dimensione più orizzontale. Quindi c’è da augurarsi che, approfittando della libertà di scelta, i grandi musei continuino a far pagare ogni giorno il biglietto, mentre i più piccoli avranno margine per inventarsi percorsi di buon marketing culturale per attrarre pubblico, soprattutto locale.

Il secondo punto sbagliato del provvedimento di Franceschini è proprio legato a quest’ultimo argomento. Il patrimonio culturale italiano ha una caratteristica che è unica al mondo: è una somma di tradizioni e di storie locali. Avere coscienza del patrimonio vuol perciò dire non tanto farsi una conoscenza generica e sommaria, quanto calarsi nelle rispettive e specifiche storie. Per questo può avere un senso che un fiorentino abbia la possibilità di entrare gratis agli Uffizi per conoscere meglio un pezzo di un patrimonio che gli è proprio; non ha senso che io, turista arrivato da Milano, e disposto a pagare treno, ristorante e magari hotel per visitare Firenze debba essere gratificato di un ingresso libero a quel museo. Se gratuità deve restare, resti quindi per un pubblico in dimensione territoriale, come incentivo a conoscere e a essere magari anche “propagandisti” del proprio territorio.

Tutti gli altri discorsi rischiano di essere solo retorica rispetto a un sistema che ha straordinarie eccellenze dimenticate, ma che concentra il pubblico in pochi poli “forti”. Non saranno i milioni di ingressi agli Uffizi o al Colosseo a rilanciare sistema museale italiano. Lo saranno molto di più qualche centinaio di ingressi conquistati, per fare due esempi tra gli infiniti possibili agli opposti poli d’Italia, dalla meravigliosa Pinacoteca di Varallo che custodisce i tesori di una grande tradizione artistica di periferia, o dal Museo Ridola di Matera, un piccolo gioiello che fa dell’archeologia uno strumento di conoscenza di una storia di comunità.

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