Liberare l’impresa dagli idoli

La gratuità è il nocciolo di ogni attività imprenditoriale. ANTONIO INTIGLIETTA, imprenditore, commenta l'intervista di papa Francesco al "Sole 24Ore"

L’intervista rilasciata da Papa Francesco al quotidiano economico Il Sole 24 Ore è, come afferma il Santo Padre, “una mia piccola enciclica”. La sua enciclica Laudato si’, in continuità con la dottrina sociale della Chiesa, ha fornito a tutti noi un giudizio chiaro sulla condizione attuale dell’economia mondiale, indicando anche la strada che conduce al cambiamento. Il testo, però, è stato incredibilmente eluso dal mondo economico, dalla politica e, più in generale, dai soggetti che detengono, oggi, importanti responsabilità legate al destino dell’umanità intera. Eppure, anche uno degli ultimi comunisti italiani più autentici, due anni fa, mi ha confermato che lo scritto del Pontefice rappresenta il più grande testo rivoluzionario del mondo contemporaneo.



Personalmente, dopo aver letto la sua recente intervista, sono ancora una volta grato a Papa Francesco per il suo ulteriore tentativo di aiutarci a chiarire e a delineare la strada da percorrere insieme. Il tema di fondo che lui pone è, come sempre, chiaro: richiama l’uomo — la comunità degli imprenditori — al cambiamento, che lui definisce con la parola “conversione”. È un appello a guardare la realtà con occhi diversi. La conversione che indica il Pontefice ha a che fare con una pro-vocazione, cioè con una chiamata, una responsabilità. 



La prima provocazione che il Santo Padre pone all’imprenditore è quella di chiedersi perché e per chi opera. È interessante, in quest’ottica, la denuncia all’economia dello scarto, che propone, oggi, il denaro come idolo e il profitto come scopo, senso e significato dell’agire dell’impresa. La mia cultura personale mi fa ritenere che qualsiasi idolo faccia intravedere una possibilità di compimento che non esiste e che, inevitabilmente, provoca una delusione. La prima vittima di questa dinamica è proprio l’imprenditore: vivere la propria attività imprenditoriale in funzione del denaro e del profitto nel tentativo di realizzare sé stessi, infatti, non gratifica ciò che muove la persona, cioè il cuore dell’uomo. Infatti, lascia la persona ultimamente insoddisfatta e sola. Il mero possesso, la centralità del solo profitto, la scelta di assecondare istintivamente gli istinti rappresentano, tra l’altro, anche un atto di violenza e di strumentalizzazione nei confronti delle persone e della natura. Le attività animate da questa concezione considerano il rapporto con i propri collaboratori come parte di un meccanismo di una organizzazione funzionale all’ottenimento del profitto; la tecnologia come un processo teso, semplicemente, a ridurre i costi-tempi per il raggiungimento dello scopo; le persone destinatarie dei propri beni o servizi come “consumatori”. È proprio la dinamica della logica consumista che sta devastando il nostro mondo dal punto di vista umano, sociale e naturale. 



Le parole del Santo Padre introducono una nuova affascinante visione del concetto di imprenditorialità. Si tratta di una concezione che riconosce all’iniziativa privata un tentativo di contribuire alla costruzione del bene comune. Da qui il richiamo allo scopo ultimo dell’attività imprenditoriale e del lavoro, che ha a che fare con la centralità dell’uomo e con il suo desiderio di compimento. Avviare un’attività non significa creare una organizzazione. L’impresa è la partecipazione a una comunità di uomini tesi alla costruzione del bene comune attraverso il proprio lavoro. È, insomma, una comunità di uomini al lavoro. Nella storia, una concezione di attività imprenditoriale così vissuta partecipa, inevitabilmente, alla crescita del territorio e risponde ai bisogni educativi, sociali e culturali delle città. 

Un altro aspetto significativo tratto dall’intervista a Papa Francesco riguarda il perseguimento dello sviluppo dell’attività economica e il rispetto dei tempi. Nella trasformazione di beni o servizi è necessario rispettare le persone e i beni naturali: ogni forzatura genera una forma di violenza nei confronti del Creato e delle persone. 

Ma l’orizzonte che il Santo Padre pone a tutti noi è accettare la sfida del mondo contemporaneo, cioè l’accoglienza dei più poveri. Il tema delle migrazioni ampiamente dibattuto nel corso dell’intervista rappresenta una ulteriore provocazione, che ci impone di comprendere in che modo partecipare al destino, ai drammi e ai bisogni dell’umanità intera. Mi riferisco al contributo che ognuno di noi può fornire attraverso gesti concreti utili per costruire un mondo migliore per tutti. In quest’ottica, è prezioso e paradigmatico il riferimento alla centralità del Terzo settore, che integra le modalità tradizionali di fare impresa con la possibilità di lasciarsi interrogare e cedere a una logica di gratuità che, per la verità, è all’origine di qualsiasi autentica attività imprenditoriale tesa a generare, per tutti, lavoro, ricchezza e crescita. 

Queste sono solo reazioni alle prime letture dell’intervista, che ho bisogno di approfondire con l’obiettivo di far maturare le provocazioni del Santo Padre nel mio modo di vivere e di lavorare. Il mio desiderio personale è che imprenditori e dirigenti di associazioni di impresa possano aiutarsi e sostenersi nell’accogliere la sfida che il Papa ci pone. Questa sollecitazione alla conversione rappresenta un appello non solo per il mondo cristiano ma per le persone “di buona volontà”. Mi auguro che il Sussidiario possa dare voce e contribuire a questo paragone. 


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