Islam e Occidente, come convivere?

- Fernando De Haro

Oggi al Meeting di Rimini si parla di incontro tra l’Islam e la cultura europea. Un incontro che in molti casi è obbligato

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Bambina islamica (LaPresse)

Non è una conversazione che nasce dal nulla. Esiste già un percorso che ha permesso una maggiore conoscenza tra Islam e Occidente, una migliore comprensione per affrontare le sfide di una convivenza non facile. L’incontro tra il Segretario Generale della Lega Musulmana Mondiale, Muhammad Abdul Karim Al-Issa, e il Professor Oliver Roy, Joint Chair RSCAS, Chair in Mediterranean Studies at EUI (European University Institute), che si tiene oggi al Meeting di Rimini, si realizza in un momento cruciale per il mondo sunnita e per la cultura occidentale. I due interlocutori sono rappresentanti molto significativi e molto lucidi di due mondi in trasformazione che, di fatto, sono già mischiati nelle strade delle città d’Europa.

Si tratta di evitare il pericolo di cui avvisava il cardinale Tauran quando disse, mesi prima di morire, che non siamo minacciati da uno scontro di civiltà, ma dallo scontro tra ignoranza e radicalismo. Queste sono le parole pronunciate da un uomo, impegnato fino alla fine nel dialogo interreligioso, nella sua storica visita dell’aprile 2018 in Arabia Saudita. Viaggio in cui ha firmato con Al-Issa un accordo di cooperazione a nome del Vaticano.

Al-Issa arriva al Meeting rappresentando la sensibilità di una parte del sunnismo saudita, con un’organizzazione alle spalle che ha costruito 7.000 moschee ed è presente in oltre 30 paesi dell’Asia e in diversi europei. La Lega Musulmana Mondiale, che egli rappresenta, incarna bene il crocevia in cui il sunnismo si trova in questo momento. Al-Issa fa parte di un Islam ufficiale che, dopo il fallimento di Daesh, cerca di allontanarsi dal radicalismo. Nella stessa Arabia Saudita, con tutte le sue contraddizioni, il principe Mohammad bin Salman, vuole prendere le distanze dal wahhabismo (la più importante tendenza sunnita nel Paese), dall’alleanza che nel 1979 lo ha portato allo Sahwa (risveglio islamico), un patto con i settori più estremisti.

L’Arabia Saudita affronta il Qatar, grande promotore dei Fratelli Musulmani e del fondamentalismo. Tutto questo mentre gli Emirati Arabi appoggiano il Consiglio dei saggi musulmani, ente che promuove un’importante apertura. Ne è la prova il viaggio di papa Francesco dello scorso febbraio, nel quale ha celebrato una messa nella terra più sacra dell’Islam. Il documento firmato in occasione di quel viaggio è stato un ulteriore passo nell’apertura dell’Islam ufficiale al concetto di cittadinanza, qualcosa di essenziale per l’Islam europeo e per l’Islam del Medio Oriente. Senza un’apertura al concetto e all’esperienza della cittadinanza, l’espressione culturale della fede islamica del XXI secolo non soddisferà l’esigenza di libertà.

Abu Dhabi è stato un altro passo del cambiamento avviato con i documenti di al-Azhar del 2012 a favore della libertà religiosa, la Dichiarazione di Marrakech del 2016 e la Conferenza del Cairo, tenutasi nel 2017 nella capitale egiziana prima dell’arrivo di Francesco. In tutte queste occasioni sono stati fatti progressi per comprendere alcuni dei testi di riferimento dell’Islam (ad esempio, la Costituzione di Medina), rispettando la libertà di culto, escludendo la violenza e riconoscendo ai membri delle minoranze gli stessi diritti dei credenti musulmani. Dopo l’incontro di Abu Dhabi, uno dei suoi promotori, Ahmad al Tayyeb, il grande imam di al-Azhar, arrivò a dire che non esistono minoranze, ma cittadini di diverse religioni. I cristiani non sono, quindi, dhimmi, persone di seconda classe.

Tutto ciò accade quando in Marocco la monarchia si è allontanata dal salafismo e in Tunisia è permesso qualcosa di impensabile finora: l’abbandono dell’Islam per decisione personale. Senza raggiungere questi estremi, senza nemmeno riconoscere la libertà di cambiare religione, ma su questa lunghezza d’onda, c’è anche Al-Issa.

Roy conosce e comprende l’Islam, da quando molti anni fa ha fatto i suoi primi lavori in Afghanistan. Non ha mai ceduto alle semplificazioni che vedono nella religione di Maometto un’identificazione assoluta tra la comunità politica e quella religiosa, un seme di inevitabile violenza. La tesi di Roy sull’integralismo islamico aiuta a conoscere e comprendere meglio l’Islam. Non lo considera come un prodotto logico della fede musulmana, ma come un’espressione storica delle “nuove religioni pure” in fuga dalla circolarità con la cultura (succede anche nel cristianesimo). Lo studioso francese ha ugualmente il realismo di non intendere il mondo occidentale come quel paradiso ideato da certi liberali per i quali l’edificio dei valori dell’Illuminismo è ancora in piedi. Roy sa che l’Occidente cammina sull’orlo del precipizio del nichilismo. E che in molti quartieri delle grandi città europee i giovani sono già caduti nel vuoto. Comprendere l’altro aiuta a conoscersi, a conoscere l’Occidente reale.

L’Occidente reale non si basa più sull’universalità secolarizzata dell’Illuminismo. E questo Occidente si ritrova nella sua vita quotidiana, in Europa, l’universalità religiosa dell’Islam. Non ci sarà compressione reciproca senza prendere in considerazione questa dimensione. Allo stesso modo con cui l’Islam dovrà conoscere e comprendere le esigenze del rispetto della libertà, in particolare quella religiosa, che provengono dal Medio Oriente (questa è stata la chiave delle primavere arabe) che continuano a essere come l’aria che si respira in Europa. Convivere è molto più che vivere ravvicinati. Ci conosceremo e ci capiremo, potremo convivere davvero, se ci raccontiamo gli uni e gli altri nella nostra esperienza di universalità, nella nostra esperienza di libertà.

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