Quanta parte del rilancio del Paese passi dalla ripresa economica e quanta dal cambiamento delle regole del gioco, non è ancora chiaro ai più. Molto ancora si confonde nell’opinione pubblica e le attese riforme sono presentate come una sorta di ricatto positivo che l’Europa ci ha imposto. Prendete i denari se cambiate.
Alla base di questa confusione c’è la colpevole volontà di gran parte dei destinatari dei presunti cambiamenti di mantenere le cose inalterate. In genere l’obiezione che si muove è che ciò che si vuole cambiare non è essenziale e che si potrebbe partire da altro. E spesso mantenere lo status quo è una battaglia che si vince fingendo di voler aderire al cambiamento, come insegna Tomasi di Lampedusa.
Ora che le prime riforme iniziano a prendere corpo spuntano allarmi di esperti e competenti con critiche spesso dettate dal timore di fare quei passi in avanti che per troppi anni si sono rimandati. La speranza è quella di superare questo periodo indenni e godere del vecchio sistema con qualche euro in più in tasca.
Sfugge che non di denari è vuota la bisaccia, ma di comprensione del momento l’intelletto. Il Paese soffre per la sempre più profonda trincea che divide il Mezzogiorno dal resto d’Italia con diseguaglianze che ormai sembrano narrare di luoghi appartenenti a Paesi diversi. Il Nord sta ripartendo, con le sue attività produttive, e forte è anche la tensione verso progetti ad alto impatto in termini sociali ed ambientali, come quelli per la mobilità in Lombardia, con un terzo settore che spinge per crescere e dare il suo contributo. Nel frattempo, a Napoli, chiude in questi giorni la scuola di vela voluta dall’armatore Onorato per non meglio chiarite incomprensioni con le istituzioni nazionali e locali. Onorato avrà ora altri pensieri, ma ne ha scritto pubblicamente lamentando che un’iniziativa a costo zero rivolta a ragazzi in difficoltà non potrà proseguire.
L’evento in sé ha una sua spiegazione, ovvero il rapporto balordo tra pubblico e privato nel Mezzogiorno. Ogni volta che i privati si affacciano con idee che coinvolgono il pubblico immediatamente emergono incomprensioni, difficoltà, spesso una vera e propria diffidenza che fa sì che anche i più tignosi arretrino. La prova è nella scarsa se non addirittura inesistente, in termini percentuali, applicazione dello schema di partenariato tra pubblico e privato. Sia che vi sia da gestire una scuola gratuita per giovani velisti con un passato complesso, sia che vi sia da realizzare uno stadio o un ospedale, l’idea che un privato si interessi della cosa pubblica – che possa, in qualche modo, offrire il proprio sostegno economico o progettuale o che, peggio ancora, la possa gestire – è totalmente aliena alla storia amministrativa del Mezzogiorno.
L’amministrazione pubblica nel Mezzogiorno si avverte padrona delle proprie competenze, padrona e non proprietaria, al punto di preferire che vadano in malora e non si faccia nulla piuttosto che accettare un equilibrato e responsabile rapporto con la controparte privata. La diffidenza si trasforma in astio, se non in ostilità, nel momento in cui l’iniziativa produce reddito sospetto.
Da dove discenda questo ribellismo è materia da storici, ma forse nasce dal retaggio baronale e feudale, quando un signorotto prendeva dal re in concessione un’imposta e vessava i sudditi, tanto che per tutti il re era un brav’uomo circondato da farabutti. Il re, che era lui sì proprietario della cosa pubblica, garantiva più libertà e diritti dei suoi sgherri. Ma era un falso storico palese: le imposte andavano proprio al re, che così facendo manteneva con il suo popolo un rapporto non conflittuale.
Questo retaggio ha lasciato un’impronta profonda nella cultura popolare e storica, talmente profonda che non avendo mai il Mezzogiorno avuto uno Stato democratico prima dell’odierna Costituzione, ci si rivolge allo Stato come ci si rivolgeva al buon sovrano.
È questo il punto più complesso su cui le riforme dovranno intervenire. Cambiare in profondità le norme, permettere che i privati possano operare in un contesto di regole europee anche in aree che ancora non hanno accolto la modernità. Solo così si potrà comprendere quanto sia utile il cambiamento e quanto deleterio il retaggio padronale che ancora è un fardello da cui è difficile liberarsi. E serve perché i privati possano sempre più avviare iniziative filantropiche con l’aiuto dello Stato e delle istituzioni, perché i privati possano partecipare allo sviluppo del Paese e del Mezzogiorno seguendo uno sentiero di crescita del valore delle iniziative che pongono in essere. Controllati, verificati ma al contempo accolti e guidati verso una reale loro partecipazione al benessere dei cittadini anche in aree in cui lo Stato, spesso, è gestito come un reame. Per questo le riforme valgono più, molto di più, delle banconote stampate dalla Bce per superare la crisi.
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