Trentasei ore dopo la rielezione di Sergio Mattarella alla presidenza della Repubblica, Mario Draghi ha convocato il Consiglio di ministri e ha invitato perentoriamente i capi-dicastero a presentargli l’aggiornamento dei progetti ricompresi nel Pnrr. I ministri sono riconvocati a palazzo Chigi per oggi. Mancano cinque mesi al secondo “giorno degli esami” presso l’Ue. A fine giugno l’Italia – come gli altri 25 Paesi-membri – dovrà presentare a Bruxelles il regolare stato di avanzamento di 45 “traguardi e obiettivi” messi sul tavolo del Recovery Plan. In gioco ci sono i 24 miliardi della seconda rata di aiuti: di cui l’Italia è grande percettore, con oltre 200 miliardi complessivi in sette anni.
Ventiquattr’ore ancora e – ieri mattina – il premier italiano ha parlato al telefono con il presidente russo Vladimir Putin. I due hanno confermato un impegno bilaterale per una soluzione della crisi ucraina. Putin ha garantito a Draghi che le forniture di gas all’Italia verranno mantenute: cioè – è parso di arguire – normalizzate, dopo i super-rialzi dei prezzi dell’ultimo semestre. È stata la mossa “geopolitica” del Cremlino – non troppo diversa da quella dei Paesi arabi produttori di petrolio negli anni 70 – a contagiare di inflazione un Vecchio continente già infettato di Covid e di recessione.
Sarebbe possibile discutere a lungo di come l’Europa sta affrontando l’exit dalla pandemia e la crisi ucraina, anzi: sarebbe forse necessario che il confronto pubblico fosse più approfondito e articolato (per la verità gli allarmi delle imprese sui costi dell’energia stanno già risuonando forti). L’Italia (di Draghi) per una volta, non è all’ultimo posto nell’Ue: dove, anzitutto, spicca il silenzio immobilista della Germania.
Il Paese più grande dell’Unione – da almeno un decennio leader indiscusso con Angela Merkel – sta scontando il cambio di governo e il ribaltone elettorale della maggioranza politica. Il nuovo Cancelliere socialdemocratico Olaf Scholz è entrato in carica solo alla vigilia di Natale. Sarebbe tuttavia toccato a lui sedersi in teleconferenza con il Cremlino: anche per il ruolo protagonistico di Berlino nelle relazioni politico-economiche con la Russia (i gasdotti Nord Stream sono stati realizzati essenzialmente in joint venture fra Germania e Russia e il presidente-garante è l’ex cancelliere socialdemocratico Gerhard Schroeder). Sarebbe toccato al capo dell’esecutivo tedesco confermare o modificare rigida politica delle sanzioni sviluppata da Merkel, sempre in funzione anti-russa sull’Ucraina (più Usa che Nato). Il primo e unico atto europeo di Scholz sullo scacchiere energetico, cioè di stretta urgenza geopolitica. è stata invece un’imbarazzante astensione al Consiglio Ue chiamato ad aprire il dossier “nucleare verde”.
A Draghi non si potrà mai rimproverare di non aver detto e fatto in tempo reale quanto andava detto e fatto. L’Ue in quanto tale – ha detto il premier italiano ancora lo scorso dicembre – non ha una forza militare in grado di fronteggiare la pressione russa sull’Ucraina (ce l’ha la Nato, ma l’oggetto del contendere fra Washington e Mosca è appunto la pretesa americana di inglobare Kiev e portare il confine esterno Nato – non Ue – ai confini russi). Ieri Draghi ha d’altronde confermato che l’Ue in quanto tale non può permettersi di rimanere in mezzo a un lungo stallo con la Russia, fornitrice di gas e mercato di sbocco per la manifattura: soprattutto in questa fase di turbolenza eccezionale e inedita.
Entrambe le affermazioni – da parte di un tecnocrate di saldissimo curriculum “occidentale”, passato dal vertice Bce a a guidare un Paese del G7 – non possono essere equivocate. Analogamente, la sua severità con i suoi ministri sulle scadenze Pnrr è in realtà rivolta a tutti i Governi europei, e alla Commissione Ue. La strategia Recovery è l’unica possibile: non è archiviata con il pensionamento della Merkel, con la luce ancora incerta del “Semaforo” tedesco fra Spd, liberali e Verdi, con la Brexit estrema di Boris Johnson o con le scommesse sulla bocciatura di Emmanuel Macron alle presidenziali francesi di primavera. L’Europa di oggi è Draghi: anche se in Italia uno schieramento politico trasversale è ancora convinto del contrario.
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