Impauriti e insoddisfatti: abbiamo bisogno di innamorarci

- Emilia Guarnieri

I giovani sembrano persi, affettivamente scarichi, impauriti. Hanno bisogno di uno sguardo che riaccenda la loro umanità. Come accade alla Maddalena con Cristo

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Masaccio, Crocifissione (particolare; 1426)

Un ampio abito rosso ricopre il corpo di una donna di cui non vediamo il volto, ma solo i biondi capelli sciolti e le mani che si protendono verso l’alto. Sembra quasi voler spiccare il volo e toccare l’amato che, morente, dall’alto di una croce la guarda. Forse a tanti non sfugge che si tratta di un particolare della Crocifissione di Masaccio che oggi possiamo ammirare nella bellissima Mostra dedicata alla Maddalena allestita nei Musei S. Domenico di Forlì.

Basterebbe la potenza di quel rosso e l’energia di quelle braccia che si levano, per cogliere tutto il dramma dell’affezione che si sprigiona da quella creatura. Maria Maddalena aveva amato quell’uomo dal giorno in cui lui l’aveva guardata passandole accanto. Racconta don Giussani: “La Maddalena è là sul marciapiede, curiosa, a guardare la folla dietro quel Gesù  che si dice il Messia; e Gesù, passando di lì un istante, senza neanche fermarsi, la guarda: da allora in poi lei non guarderà più se stessa, gli uomini, la gente, il mondo, la pioggia e il sole, se non dentro lo sguardo di quegli occhi. (…) Tutta la sua vita dentro quello sguardo”.

E lo amerà fino a seguirlo sul Calvario, in quella posa in cui Masaccio l’ha fissata, dove lei sembra quasi voler condividere quella croce. Lui morirà, verrà deposto dalla croce e messo nel sepolcro. Ma lei, la Maddalena, non potrà restare senza il suo amato. La Liturgia della Chiesa cattolica nel giorno della festa di S. Maria Maddalena ci fa leggere il Cantico dei Cantici: “sul mio letto, lungo la notte, ho cercato l’amore dell’anima mia. L’ho cercato, ma non l’ho trovato”.

Come la donna del testo biblico, anche la Maddalena cerca l’amato. All’alba correrà al sepolcro, lo troverà scoperchiato, tra le lacrime che le inondano il viso vedrà due creature vestite di bianco a cui si rivolgerà. “Hanno portato via il mio Signore e non so dove l’hanno posto”. Lui in persona si mostrerà a lei, la chiamerà per nome facendo “vibrare tutto il suo umano – come ebbe a dire don Carrón commentando l’episodio – fino a farle sentire una tale intensità, pienezza, che non aveva potuto immaginare prima”.

La  mostra di Forlì colpisce e attrae per la bellezza delle opere mostrate, per l’ampiezza e il valore del percorso espositivo, frutto di un comitato scientifico di alto profilo, ma esprime una sorta di valore aggiunto. È  un invito a guardare in faccia l’esperienza umana dell’affezione. Questa esperienza è stata il fattore costitutivo della vita della Maddalena. In lei è evidente cosa è l’affezione: un fatto visto (quell’uomo che l’aveva guardata), un’attrattiva che scatta, la vita spesa per seguire quel fatto.

Niente di più semplice, verrebbe da dire. Ma perché è così raro che oggi  questo accada? Ancora più raro nei giovani. Se guardiamo i nostri ragazzi li troviamo spesso stanchi, annoiati, alla ricerca di qualcosa che possa stordirli e in tal modo “occuparli”. Sempre più insoddisfatti della vita. Dal recente rapporto Istat su Benessere equo e sostenibile in Italia, emerge che nel nostro Paese il 23,1% dei giovani tra i 15 e i 29 anni non studiano, né lavorano, né cercano un’occupazione. Sono i Neet (Not in employment, education or training).

Il presidente dell’Istat Blangiardo, commentando il rapporto, segnala anche un altro dato preoccupante, “i circa 220mila ragazzi tra i 14 e i 19 anni che si dichiarano insoddisfatti della propria vita e si trovano, allo stesso tempo, in una condizione di scarso benessere psicologico. Gli stessi fenomeni di bullismo, violenza e vandalismo a opera di giovanissimi, degli ultimi mesi, sono manifestazioni estreme di una sofferenza e di una irrequietezza diffuse e forse non transitorie”.

Pandemia, lockdown, debolezza di un mondo adulto che impaurito cerca solo rassicurazioni per sé e per i propri figli, sono tutti fattori che in questi ultimi due anni hanno accelerato una crisi che già era latente. Più di trent’anni fa don  Giussani aveva parlato di una debolezza dei giovani che “rimangono, nel rapporto con se stessi, affettivamente scarichi e, per contrasto, tendono a rifugiarsi nella compagnia intesa come protezione”. Quello che don Giussani aveva profeticamente anticipato è la dolorosa evidenza di oggi. Giovani che non riescono ad innamorarsi della realtà.

C’è solo una variabile che può fare la differenza: se quei giovani impauriti e insoddisfatti incontreranno qualcuno che, come accaduto alla Maddalena, li guardi. Uno sguardo che riaccenda il loro umano restituendo al cuore l’energia di vibrare di fronte alla realtà, di appassionarsi ad essa e di spendersi per costruire.

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