L’importanza del carisma

- Fernando De Haro

Qualche giorno fa a Roma Marc Ouellet ha pronunciato parole molto importanti sui movimenti ecclesiali e sul carisma nella Chiesa

Vaticano Piermarini
Vaticano, San Pietro (immagini di repertorio, LaPresse)

“Sembra che un vento gelido di sospetto abbia messo in dubbio le preziose realtà che la Chiesa non può sottovalutare”. Questa frase è di Marc Ouellet e l’ha pronunciata qualche giorno fa in un congresso sui movimenti ecclesiali tenutosi a Roma. Il canadese sa bene cosa significa vento freddo. È nato a La Motte, una piccola città del Quebec, dove il termometro può raggiungere i 30 gradi sotto zero. Ouellet è cardinale della Chiesa cattolica e prefetto del Dicastero per i Vescovi, cioè è assistente del Papa, e agisce con quello che è noto come il “potere vicario” del Santo Padre. 

Dov’è nato il vento gelido a cui si riferisce questo poliglotta che parla sei lingue? Egli stesso risponde: nelle “denunce di chierici e religiosi che hanno sbagliato”, che hanno fatto apparire pessimismo e sfiducia nei confronti dei fondatori dei movimenti. Sfiducia generata “dalla cattiva pubblicità dell’autorità” che ha agito in modo poco discreto. 

In qualche occasione precedente Ouellet aveva già criticato “la mentalità clericale centrata sul potere e sull’eccessivo controllo” che a volte si vive nella Chiesa. Il canadese è stato tra gli incaricati di presentare nel 2016 la lettera Iuvenescit Ecclesia, in cui si definisce il rapporto tra gerarchia e “doni carismatici”. In quell’occasione disse che se “qualcuno dubita ancora dell’importanza della dimensione carismatica nella Chiesa, lo invito a riflettere sul fatto che cinquant’anni dopo il Concilio Vaticano II, lo Spirito Santo e i cardinali hanno scelto un pastore supremo che proviene dalla sfera carismatica della Chiesa”. Nel congresso di qualche giorno fa ha ripetuto che “i movimenti sono stati accolti e il frutto si vede. Grazie alla grazia multiforme di Dio, siamo in cammino”. 

Questa stima per i movimenti lo ha portato a Roma a formulare una chiara denuncia: La pneumatologia (lo studio dello Spirito Santo) è ancora assente in molti processi di discernimento ecclesiale” sui movimenti. Con sincerità ha segnalato che i criteri per questo discernimento sono “spesso negativi, sono focalizzati sul monitoraggio di pericoli e deviazioni”. Non è strano che “manchi lo sguardo che vede la presenza dello Spirito Santo, la concretezza dei suoi doni, il fervore e la libertà che dona a certi fedeli”. 

Il canadese è andato oltre sottolineando che alcuni membri della gerarchia hanno la tendenza a interpretare i carismi in modo ideologico e con pregiudizi. Li vedono attraverso una lente che li deforma con una prospettiva neo-pelagiana e gnostica. Ciò fa sì che “gli errori di giudizio e l’abuso di potere non siano estranei alle curie di questo mondo, compresa la Curia romana”. 

A cosa si riferisce Ouellet quando parla di due antiche eresie? Che cosa hanno a che fare con il ventunesimo secolo? Il cardinale ha ripreso i due modi in cui, secondo papa Francesco, si esprime la mondanità spirituale. Il neo-pelagianesimo, secondo il Santo Padre, pone “fiducia nelle strutture, nelle organizzazioni, nella perfetta pianificazione” e assume “uno stile di controllo, durezza e normatività”. Si basa su una “presunta sicurezza dottrinale o disciplinare che dà origine a un elitarismo narcisistico e autoritario, dove invece di evangelizzare vengono analizzati e classificati gli altri”. 

Lo gnosticismo, sempre secondo Francesco, è tipico di una fede racchiusa nel soggettivismo, a cui interessa solo una determinata esperienza o a una serie di ragionamenti e conoscenze che presumibilmente confortano e illuminano. Quei pensieri, in realtà, si chiudono in una ragione immanente. Secondo il canadese, queste due tentazioni colpiscono anche la Curia Romana e fanno sì che “certi eccessi giuridici” impediscano di respirare l’aria dello Spirito. Ouellet aggiunge che “ci sono realtà che necessitano di correzione, ma un’eccessiva rigidità nell’applicazione delle regole può impedire lo sviluppo equilibrato e il riconoscimento opportuno di un carisma“. “Non basta conoscere bene la dottrina e il diritto per discernere la presenza dello Spirito Santo”. Per questo, la soluzione non è l’ordine e il controllo a tutti i costi, ma un dialogo affidato “all’approvazione degli statuti, alle forme di governo, al rispetto dei fondatori, alla concessione delle dispense e all’analisi dei casi problematici”. 

Questo dialogo, favorito dallo “sviluppo della sinodalità”, permette di riconoscere che i doni gerarchici e i doni carismatici sono “co-essenziali”. È un’espressione già usata da Giovanni Paolo II che è stata ripresa dalla lettera Iuvenescit Ecclesia. La sensibilità sinodale, infatti, si è sviluppata, tra le altre cose, grazie ai movimenti. “Tanto coraggio, pazienza e umiltà” è ciò che il canadese prescrive per difendere un carisma autentico che suscita lo Spirito Santo”. L’uomo che è cresciuto tra grandi foreste ci incoraggia a ricordare che “un albero caduto non distrugge la foresta. La foresta cresce senza fare rumore”.

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