Oggi gli oltre 40.000 edifici scolastici italiani rappresentano anche le diverse fasi storiche del nostro Paese. Circa 1.500 sono stati costruiti prima del ‘900 e quindi spesso sono ospitati in edifici “storici” adattati al nuovo uso. Ci sono edifici in affitto costruiti come palazzine per appartamenti che ospitano una scuola: la 1A in salotto e la 2B in camera da letto, ma non mancano ambienti costruiti per essere dei magazzini o vecchi monasteri. Ma se l’idea è che un edificio scolastico è fatto di aule che sono semplici stanze rettangolari il problema semmai è la capienza, e il dibattito si concentra sulle classi “pollaio” e sul numero di ragazzi, sui metri quadri per alunno: superati gli standard il problema è risolto.
Eppure, tutti sappiamo che lo spazio è un insegnante molto efficace, in grado di cambiare la fisionomia di un’intera scuola attraverso il disegno degli interni, degli arredi e integrando le tecnologie nella progettazione complessiva di una nuova concezione della scuola. Una progettazione innovativa degli spazi è in grado di cambiare la didattica molto di più di tanti testi o corsi di formazione.
Per progettare diversamente spazi e arredi occorre però avere una concreta e articolata idea del cambiamento, dell’organizzazione del modello scolastico: ma se nel Recovery Plan e nel recente documento ministeriale messo a punto per la costruzione delle scuole innovative, le linee guida hanno come elemento trainante l’efficientamento energetico e riservano uno spazio secondario all’organizzazione del tempo, alle metodologie didattiche, alle tecnologie, che avrebbero dovuto rappresentare il centro, rischiamo di perdere un’occasione che difficilmente si ripresenterà.
Certamente l’attenzione alla sostenibilità energetica è oggi fondamentale per ogni intervento edilizio e quindi anche per gli edifici scolastici, ma l’idea centrale deve essere l’innovazione del modello scolastico, nella prospettiva di una valorizzazione di quello che richiede la scuola di domani. Intervenire solo sull’involucro significa lasciare inalterato uno schema architettonico ripetitivo fatto di corridoi e aule, funzionale alla lezione frontale e alla scuola che ci è familiare da decenni: è necessario invece che la progettazione sia guidata dal cambiamento del modello scolastico, dalle esigenze delle nuove metodologie didattiche, dalla riorganizzazione del tempo scuola e dalla necessità di inserire nel percorso di apprendimento le tecnologie, integrate nella pratica educativa e non relegate in luoghi “speciali” come i laboratori o peggio ridotte a soprammobili.
L’innovazione del modello scolastico è un’urgenza reale perché i termini del disallineamento della scuola con tutto quello che la circonda sono numerosi. La nostra scuola secondaria è centrata sulla lezione frontale: sia l’organizzazione dell’orario degli studenti, sia il contratto di lavoro degli insegnanti sono basati sulle ore di lezione, e il tempo a scuola è tutto dedicato a verificare quello che si è capito, e in pratica si esaurisce nelle lezioni e nelle “verifiche” scritte e orali. L’avvento della società industriale ha portato a progettare i sistemi educativi come una grande “azienda”, una struttura centralizzata di alfabetizzazione di massa, obiettivi per cui la lezione frontale e lo studio del libro scolastico rappresentano la soluzione più economica e funzionale.
Dal punto di vista degli spazi, dovendo far fronte a una rapida crescita della popolazione e soprattutto dovendo aprire scuole in luoghi molto periferici, in mezzo a territori isolati, basta una qualunque stanza rettangolare da trasformare in aula on pochi arredi fondamentali precisati dal Regolamento del 1860 (incluso un crocefisso e un ritratto del Re). Solo nel 1923 si dettano alcune regole più precise, in termini di dimensioni e colori. Oggi questi grandi sistemi appaiono sempre più obsoleti, ma non dobbiamo dimenticare che hanno svolto egregiamente il proprio compito.
I primi scricchiolii del sistema si avvertono nella scuola elementare dove pure l’impianto e la frammentazione disciplinare sono meno accentuati. Freinet, Montessori, Lombardo Radice e tutto il movimento dell’attivismo avevano evidenziato già negli anni ’20 come la predominanza del libro di testo, l’organizzazione didattica tutta centrata sul testo scritto e sulla lezione e di conseguenza anche l’organizzazione degli spazi fossero nella scuola elementare in contrasto con le esigenze e i bisogni dei bambini, a cui si chiedeva di adattarsi a un ambiente, anche fisico, fatto di immobilità e attenzione. Ora si aprivano le porte dell’aula e si usava tutto lo spazio possibile, si spostavano i banchi, spariva la cattedra e lo spazio si popolava di “luoghi dell’osservazione diretta”. Il metodo sperimentale era al centro dell’attività di innovazione dei tanti insegnanti della scuola elementare che si battevano perché la scuola adattasse i suoi linguaggi, metodi e spazi ai bambini, fondando l’apprendimento sulla riflessione, l’osservazione diretta e il ragionamento. L’aula pensata per mettere al centro la lezione diventa inadeguata, così come gli arredi che vengono faticosamente adattati a un nuovo modello didattico.
L’aumento della popolazione scolastica riduce progressivamente gli spazi “liberi” nell’edificio scolastico e così tutto finisce per essere concentrato nell’aula, che si articola in “angoli” dedicati a questa o quella attività, ai lavori di gruppo, a ospitare quelle tecnologie che servono per trasformare, almeno in parte, il modello educativo, anche se l’insegnante che cerca modelli innovativi è costretto ad arrangiarsi con lo spazio e gli arredi disponibili. Un ambiente poco flessibile, che mal sopporta queste trasformazioni. La progettazione degli edifici scolastici non è fatta in base alle attività che devono ospitare, creando ambienti e arredi funzionali, e non ha nessuna articolazione interna, ad eccezione delle palestre e degli uffici amministrativi, e anche i laboratori vengono ricavati da aule. È il caso del laboratorio di informatica che conserva gli stessi arredi di un’aula normale, ma che, in più, ha sui banchi i computer.
In quegli anni la concezione della scuola come “ambiente di apprendimento”, che ha al centro l’attività dello studente, è all’origine di molti tentativi di trasformazione degli spazi e della didattica, che si sono scontrati però sempre con un mondo costretto a usare costantemente la carta, il testo scritto, gli “oggetti”, imponendo confini precisi alla possibilità di fondare l’apprendimento sull’esperienza diretta. Via via che ci allontaniamo dalla scuola elementare sparisce anche la spinta a trasformare sia pure limitatamente l’ambiente scolastico: addirittura molti laboratori, specialmente nei licei, sono costruiti perché gli studenti assistano passivi all’esperimento condotto dal docente. Solo negli istituti professionali il laboratorio è concepito in modo alternativo all’aula, dove restano collocate le materie che “contano”. Una contrapposizione tra aule normali e laboratori che porta anche i ragazzi a comportarsi in modo diverso a seconda che siano in un laboratorio o seduti al banco davanti alla lavagna: l’ambiente quindi insegna, è un elemento determinante nel creare il clima, l’ambiente sociale, nell’indirizzare il comportamento degli studenti, nel determinare il loro successo formativo.
Qual è la novità oggi? Riprogettare gli edifici perché? Parafrasando il titolo di un noto libro di Francesco Antinucci possiamo dire che “l’aula si è rotta”. L’intera scuola si sta “rompendo”: sulle pareti del modello scolastico che conosciamo si stanno aprendo vistose crepe e il terremoto che è in corso, derivato dallo scollamento di due “faglie”, la scuola e la società, è stato innescato dagli studenti. Si tratta di una crisi strutturale e non di un fenomeno temporaneo. La scuola si sta disconnettendo sempre più profondamente dalla società: è urgente ripensarla in tutte le sue dimensioni, compresa quella architettonica e degli arredi, avendo in mente un luogo costruito ed arredato per esplorare, per sperimentare, per costruire, anche grazie all’uso delle tecnologie.
Se vogliamo trasformare la scuola da ambiente per l’insegnamento ad ambiente per l’apprendimento dobbiamo ripensare completamente gli spazi. Senza una forte connessione tra trasformazione della scuola nei suoi fondamentali e progettazione architettonica rischieremo solo di costruire edifici a norma, magari con un forte risparmio energetico e antisismici, ma pensati per ospitare la “solita scuola”, come ho scritto nel mio recente libro La scuola che ancora non c’è. Costruire una scuola nuova oggi vuol dire guardare al futuro e pensare che ospiterà studenti destinati a un mondo che ancora non conosciamo, ma che sappiamo sarà diverso dal nostro. Il modello scolastico è un grande puzzle dove ogni tessera è collegata all’altra ed è illusorio pensare di cambiarlo senza una visione complessiva, affrontando singole tessere del mosaico.
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