In ogni nuovo anno ciascuno di noi, forse segretamente, nasconde un desiderio. Il tempo che passa non lascia mai indifferenti e, benché a volte inaciditi, distratti o ostinati, tutti avvertono l’urgenza di tracciare bilanci e riprendere in mano i fili della propria vita. C’è chi non vuole più essere solo, chi implora di poter superare un dolore, una morte, un difficile tornante dell’esistenza. C’è chi non vorrebbe più fingere e c’è anche chi non vorrebbe peccare più. La Chiesa cattolica inizia l’anno guardando a Maria, la ragazza di Nazareth che il 1° gennaio viene solennizzata col titolo di Madre di Dio. La vicenda che portò a tale titolo fu tutt’altro che cristallina e passò per il tentativo, nel V secolo d.C., di rispondere alle diverse tendenze monofisite che animavano il cristianesimo di quei decenni.
Il monofisismo sosteneva che Cristo aveva, in fondo, una sola natura – o divina o umana – e che tenere insieme le due cose fosse impossibile. Quello che dietro le righe delle affermazioni si voleva mettere in dubbio era l’umanità di Cristo stesso. A tale eresia risposero le prese di posizione del patriarca di Costantinopoli Nestorio, che ribadivano a tal punto l’umanità di Cristo da definire Maria soltanto Chistotokos, madre di Cristo.
A questo punto la politica si intersecò con la teologia e il vescovo di Alessandria Cirillo profittò dello zelo con cui Nestorio si era schierato per accusarlo di ogni nefandezza e tentare di indebolire la sede di Costantinopoli o, addirittura, di sostituirlo. Cirillo fu molto abile e al concilio di Efeso, nel 431, Maria fu proclamata Theotokos, madre di Dio.
Queste preoccupazioni dialettiche, che possono far sorridere i più ai nostri giorni, nascondevano in realtà consapevolezze decisive: se Maria fosse stata solo la madre di Cristo, la madre di un uomo, come si sarebbe potuto spiegare il fatto che il rapporto con quel Cristo, la quotidianità con Lui, salvava la vita dalla morte e dall’oscurità? Se Cristo non è Dio, ma solo un brav’uomo, chi salverà la nostra vita? Allo stesso modo, se Cristo non fosse uomo, come farebbe a entrare in amicizia con noi, in quella comunione di vita che è comunione anche di energia, di volontà, di natura?
La salvezza nel cristianesimo non è mai stata un artificio mentale, bensì un’esperienza cui le parole cercano di star dietro. Gli apostoli e i cristiani di ogni generazione sperimentano una tale misericordia, una tale resurrezione di vita anche di fronte alla morte più buia, che non possono fare a meno di voltarsi verso Cristo e domandargli con commozione: “Chi sei Tu che mi salvi?”.
Maria per prima dovette porre questa domanda al bambino che portava in grembo. L’annuncio dell’angelo aveva corrisposto più di ogni altra cosa al desiderio che si portava nel cuore di essere “tutta di Dio”. Sapeva bene che le regole del suo tempo non glielo avrebbero mai permesso, perché la benedizione più grande per una donna era quella di diventare madre, ma continuava a desiderare. E ad attendere. L’annunciazione rappresentò dunque un’esperienza di corrispondenza umana ed emotiva che superava ogni aspettativa.
Quella corrispondenza, tuttavia, dovette compiere una strada. Maria non rimase la stessa della casa di Nazareth, ma imparò ad essere madre, a soffrire, a intercedere: la corrispondenza originaria di Maria divenne giudizio. Ella seppe riconoscere che cosa davvero aveva fatto sussultare il Suo cuore e iniziò a seguirLo. La corrispondenza di Maria divenne giudizio e il giudizio divenne obbedienza.
È questo che sperimenta chi non divide il divino e l’umano, chi non s’abbandona a facili monofisismi o ad affascinanti nestorianesimi: una corrispondenza che non resta sentimento, che non rimane ferma al giorno 1 nella continua ricerca di un’emozione ulteriore che la riconfermi, ma un fatto che diventa giudizio e che apre la strada ad un’obbedienza. Nessuno ama più il proprio marito e la propria moglie come il giorno del matrimonio, ma o quell’amore è diventato giudizio – e quindi oggi è infinitamente più grande – oppure, finita l’emozione dell’amore, cercheremo sempre un’altra emozione che lo sostituisca.
Tutti iniziamo l’anno con un desiderio, ma Maria permise che quel desiderio diventasse grande, facesse una strada. E forse è questo l’augurio più bello che ci si può fare all’inizio di un nuovo anno: che i desideri di ciascuno di noi crescano, che possa crescere in ciascuno l’amore alla strada. È questa la pace che il cuore cerca ed è per questo che la Chiesa dedica il primo giorno dell’anno alla pace: solo chi accetta di diventare grande e di amare la strada su cui è posto smette di essere violento e dona al mondo quella misericordia che lui stesso ha sperimentato e che è Cristo, il Dio-uomo, una salvezza incredibile in un’amicizia inesauribile.
Visto così, è proprio tutto un altro inizio. Buon anno.
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