Un convegno in un paese della valle dell’Aniene, Roviano, affascinante borgo, posizionato a nordest di Roma, mostra come i borghi dell’Italia interna, spesso dimenticati e sottovalutati, possano fornire suggerimenti preziosi a tutti. La civiltà e il progresso rinascono quando, coscienti della propria tradizione, si vogliono perseguire strade innovative senza chiudersi, ma integrando persone che vengono da lontano.
L’assenza di memoria storica e del senso della tradizione fa erroneamente ritenere molti borghi situati sulle colline e sulle montagne dell’Italia settentrionale, centrale e meridionale “periferia”, marginale rispetto alle grandi città. Eppure hanno una storia antichissima e cruciale per il nostro Paese. Ad esempio nella valle dell’Aniene abitavano gli Equi che dopo essersi scontrati con i Romani si integrarono con loro per essere uno dei primi fulcri di quella civiltà che fu ed è alla base della civiltà occidentale. Non solo: Roviano si trova a soli 15 km da Subiaco, nel VI secolo dove San Benedetto da Norcia insediò la sua comunità monastica, modello dei monasteri benedettini, che sulla base della regola “Ora et labora”, fecero ripartire l’Europa dopo le invasioni barbariche e la caduta dell’Impero Romano. E sei secoli dopo visitando questi luoghi cari a San Benedetto, San Francesco trasse ulteriore ispirazione per la sua azione che rinnovò la Chiesa e il mondo.
E come se non bastasse la famiglia dei Colonna, padroni del castello rappresentati nello stemma del comune di Roviano, ebbero un ruolo fondamentale nel buon esito della battaglia di Lepanto che preservò la cultura europea dall’essere sopraffatta da altre civiltà.
Che significato ha oggi essere coscienti di questa tradizione? Il museo della civiltà contadina visitabile oggi nel castello fa da ponte tra il passato e il presente legando tradizione e innovazione.
Come afferma Rajan, ex Governatore della Banca centrale dell’India, nel suo volume “Il terzo pilastro” per assicurare sviluppo e prosperità alla gente non basta il mercato globale basato su un neoliberismo selvaggio con le conseguenze negative che tutti vediamo, né uno statalismo, sconfitto dalla storia e oggi ovunque senza risorse.
Occorrono a fianco di Stato e Mercato comunità locali ove uomini coscienti fieri della loro tradizione e non isolati generano possibilità di lavoro e vita per sé e i propri simili. Roviano ne è un esempio: dopo la civiltà contadina, quaranta anni fa un giovane locale Emilio Innocenzi incontra a Roma un sacerdote Don Giacomo Tantardini che seguendo gli insegnamenti sul valore del lavoro di Don Giussani, lo stimola a dar vita a una realtà imprenditoriale nel campo delle pulizie, dei servizi, della ristorazione. Oggi questa realtà dà benessere a tante persone, molti di Roviano ed è esempio alla più grande e importanti delle innovazioni nella società civile, la creazione continua di nuovo lavoro, anche suggerendo un turismo che non si fermi nelle località più conosciute. Così un borgo può ritrovare la sua centralità a patto però che non sia sgambettato da scelte politiche assurde. Ad esempio, a Roviano c’è la stazione ferroviaria che potrebbe permettere di abitare nel paese e andare a Roma a lavorare se non fosse che, come in molti punti dell’Italia interna, i treni e i pullman sono diminuiti con gli anni nell’idea che i trasporti debbano crescere solo tra le grandi località.
Non basta che la vita si rinnovi dal basso: occorre che le autorità pubbliche la supportino.
E in tutto questo cosa c’entra l’integrazione? Roviano ne è un esempio ante litteram attraverso le strutture di accoglienza e formazione degli Oblati per gente che veniva a risiedere da fuori nel paese. Ma l’accoglienza vale ancora oggi: l’evento del 10 settembre è stato inaugurato dalla suggestiva performance musicale di Marie Nick Djalo, proveniente dalla Costa d’Avorio che ha poi condiviso con i presenti la sua esperienza di positiva integrazione nella società di Roviano che ha abbracciato l’approccio all’integrazione diffusa attraverso progetti come il SAI (Sistema di Accoglienza e Integrazione).
Non è un caso isolato: l’Italia, Paese degli ottomila Comuni, è un ponte naturale, un luogo di persone provenienti da tante civiltà, di diversità e culture che si sono contaminate e integrate in migliaia di corpi intermedi, di origine laica e cristiana che hanno insegnato loro a vivere, a lavorare insieme a collaborare per il bene comune. Perché dovrebbe valere di meno oggi quando il crollo demografico crea buchi enormi e necessità di nuovi giovani anche se provenienti da etnie diverse? I borghi, se opportunamente supportati e guardati, potrebbero essere i luoghi ideali di esperimenti di integrazione che possono essere anche modi per contrastare il loro progressivo spopolamento.
Anche in questo caso papa Francesco non sbaglia: le periferie esistenziali e geografiche come ai tempi di San Benedetto sono i luoghi dove può rinascere una nuova e più vera civiltà. Val la pena di metterli al centro dell’attenzione…
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