Maggio è il mese della Madre. Il 13 maggio del 1917 Maria si è presa questo mese, i suoi ritmi, i suoi fiori con i loro profumi, le sue piogge, le sue attese. In un paese sperduto del Portogallo, a tre ragazzine e un ragazzino inconsapevoli, verso mezzogiorno la Bella Signora si mostrò come la grande amica della storia, loro e del mondo, presente e futura. Come il sole, che è presente anche quando il cielo è colmo di nubi, Maria è la perenne presenza dentro le pieghe di ogni avvenimento. La Madre usa il metodo del Figlio, che a sua volta ripropone quello del Padre: attende il nostro “sì” libero. Mai una forzatura, mai una maldestra insistenza, sempre un grande desiderio che l’uomo ci sia, e che ci sia tutto intero.
Giovanni Pascoli, nella poesia È maggio, descrive con immagini efficaci questa tensione: “A maggio non basta un fiore. / Ho visto una primula: è poco. / Vuoi nel prato le prataiole: / è poco: / vuole nel bosco il croco. / È poco: vuole le viole; le bocche / di leone vuole e le stelline dell’odore. / Non basta il melo, il pesco, il pero. / Se manca uno, non c’è nessuno. / È quando è in fiore il muro nero / è quando è in fiore lo stagno bruno, / è quando fa le rose il pruno, / è maggio quando tutto è in fiore”.
Nel tentativo del nostro tempo, e non solo, di insinuare il fatto che così come siamo non andiamo mai bene, che la nostra umanità è un problema da risolvere, che dovremmo essere sempre all’altezza delle situazioni, che potrebbe essere maggio anche se non tutto è in fiore, Dio fa irruzione attendendoci. Nella storia invia la Madre, sorgente di ogni attesa, perché tutti siano certi della divina preferenza verso di noi.
Solo questo, infatti, è in grado di muoverci sul serio. Lo vedo in quegli adulti che, o avendo alle spalle una storia da grandi professionisti o un quotidiano fatto di cose semplici, vivono il tempo della pensione con l’impeto di dire “io” implicandosi nella carità. Lo vedo in quei ragazzi a cui non bastano le cose di cui gli altri si riempiono la bocca. Non sopportano gli slogan e le frasi fatte. Domandano le ragioni di tutto. Lo vedo nei miei amici più veri, con cui condividiamo la vita e la vocazione, che sono pieni di letizia proprio nelle cose che appesantirebbero chiunque. Pieni di desiderio e di domande, non sono mai tranquilli e si godono la vita sul serio.
La prima lettura di questa domenica riporta un dettaglio interessante: “Mentre Pietro stava per entrare [nella casa di Cornelio], questi gli andò incontro e si gettò ai suoi piedi per rendergli omaggio. Ma Pietro lo rialzò, dicendo: ‘Àlzati: anche io sono un uomo!’” (At 10, 25-26). Quell’“anche io sono un uomo” detto da Pietro non può non farci venire in mente tutto il peso della sua umanità. Non è solo un modo per fugare ogni dubbio circa la sua non-divinità, ma per affermare – finalmente con libertà – la scoperta della bellezza di essere un uomo. Chissà quante volte è stato guardato come uno che avrebbe dovuto essere corretto e sistemato. Cristo l’ha fatto nuovo abbracciando tutta la sua umanità.
Gli uomini, però, sono testardi. Prima di cambiare idea su una persona, già ben incasellata, devono passare secoli. Ecco perché Dio invia la Madre, perché tutti sappiano di essere attesi, come lo sbocciare dei fiori a maggio, consapevoli che “se manca uno non c’è nessuno”. E tu dove sei?
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