Dio ci vuole originali, non cloni

Il potere che Cristo ha scelto per sé è quello dello svelamento dei cuori: davanti a lui, e con noi stessi, non si può barare

“L’obiettivo del seminario è chiaro: ‘formare discepoli missionari innamorati del Maestro, pastori con l’odore delle pecore, che vivano in mezzo a esse per servirle e portare loro la misericordia di Dio’ (Ratio Fundamentalis Institutionis Sacerdotalis, n. 3). Ciò suppone un certo numero di criteri, sui quali è impossibile transigere, per conferire l’ordinazione. Il seminario, tuttavia, non dovrebbe cercare di formare cloni che la pensino tutti allo stesso modo, con gli stessi gusti e le stesse opzioni. La grazia del sacramento mette radici in tutto ciò che arricchisce la personalità unica di ciascuno, personalità che deve essere rispettata, per produrre frutti di vari sapori, dei quali la stessa varietà del Popolo di Dio ha bisogno”.



Papa Francesco si è espresso così, lo scorso 25 gennaio, durante l’incontro con i rettori dei seminari maggiori e propedeutici della Francia. La frase: “Il seminario, tuttavia, non dovrebbe cercare di formare cloni” ha suscitato un certo stupore perché, in effetti, è la prima volta che si sente un richiamo così esplicito da parte di un Papa sulla formazione sacerdotale. Si è spesso pensato a un modello nel quale i candidati avrebbero dovuto rientrare, a una sorta di prototipo al quale conformarsi. È capitato che le singolarità e le originalità di ciascuno fossero guardate come un problema da arginare, più che a una “varietà di cui il Popolo di Dio ha bisogno”.



Il Papa ha toccato un punto che vale, in realtà, come richiamo per qualsiasi avventura educativa. C’è ancora qualcuno che non ha paura dell’uomo? E dell’uomo reale, così com’è? C’è ancora qualcuno disposto a entusiasmarsi per il percorso che sta facendo l’altro? Siamo in un momento storico interessante e non privo di confusione. Circa il sacerdozio, per esempio, da una parte si lamenta la carenza del numero dei preti, dall’altra si fa strada una certa insofferenza nei loro confronti, come se fossero diventati un peso al realizzarsi di progetti pensati per farne a meno.

Questo non può che aiutare a verificare le ragioni per cui uno non sceglie altro, non si conforma al pensiero di tutti, non molla sul desiderio di godersi la vocazione, come la definì Benedetto XVI: “andare sui passi di Cristo”. La vocazione sfugge a qualsiasi piano organizzativo, a qualsivoglia progetto umano, per questo – forse – inizia, paradossalmente, a dar fastidio. È il segno, in una carne umana, dell’irruzione del Mistero nella realtà. Ogni vocazione, ogni chiamata, ogni “sì”, è una rivoluzione, la rivoluzione del centuplo, come disse sempre Benedetto XVI in un passaggio della sua omelia della s. Messa per l’inizio del pontificato il 24 aprile 2005: “Chi fa entrare Cristo nella propria vita, non perde nulla, assolutamente nulla di ciò che rende la vita libera, bella e grande … Egli non toglie nulla, e dona tutto. Chi si dona a lui, riceve il centuplo in cambio”.



Dio non ha paura dell’uomo, di nessun uomo. Per questo non ha bisogno di cloni, non ama fare le fotocopie, ma preferisce gli originali, fatti a sua immagine e somiglianza. E tra di noi? C’è qualcuno che non ha paura della vocazione? Che non teme l’unicità di ciascuno? Che fa il tifo per le scoperte dell’altro? O dobbiamo arrenderci alle procedure mondane che fanno leva sul potere di chi riesce a conquistarlo? Nella festa di luce che oggi celebriamo c’è un indizio che non può sfuggirci: “Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: ‘Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione – e anche a te una spada trafiggerà l’anima –, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori’” (Lc 2, 33-35). Il potere che Cristo ha scelto per sé è quello dello svelamento dei cuori: davanti a lui, e con noi stessi, non si può barare. Questa resterà l’ancora di salvezza a fronte di qualsiasi rischio di clonazione.

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