“Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: ‘Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca’” (Lc 5, 4). Nel Vangelo di oggi troviamo questa frase famosissima. È una di quelle che vengono citate innumerevoli volte. Spesso appare sulle immaginette con le suggestive foto di barche e reti in riva al lago. Messa in musica è entrata nel repertorio dei canti liturgici da anni. Insomma, è una di quelle espressioni di Gesù che tutti sanno. Però, sorte comune alle citazioni famose, il tempo rischia di logorarle e, così, dell’impeto con cui sono state pronunciate e ascoltate, talvolta non resta più nulla.
Immaginiamoci, invece, la scena di quel giorno: “Mentre la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio, Gesù, stando presso il lago di Gennèsaret, vide due barche accostate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedette e insegnava alle folle dalla barca” (Lc 5, 1-3). A un tratto, però, Cristo si rivolge a Pietro. Non si accontenta di quello che stava dicendo alle folle, non è venuto per uomini e donne semplicemente interessati dai suoi discorsi, ma stupiti dalla realtà, perciò pone un gesto: “Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: ‘Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca’”. All’inizio Pietro resiste con le ragioni più comprensibili: “Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla”. Della serie: “Ci abbiamo già provato, ma è andata male. Non è giornata”. Nel suo cuore, però, c’è qualcosa che resiste alla rassegnazione: “Ma sulla tua parola getterò le reti”.
L’incontro dell’iniziativa di Cristo con la disponibilità di Pietro fa accadere il duplice miracolo: della pesca e dello stupore, del segno e del suo riconoscimento. Questo incontro è quello che attende ciascuno di noi al varco del quotidiano. C’è un modo di vivere le circostanze, infatti, che cede al grande freno a mano del fallimento, così l’esito dei nostri tentativi diventa la misura della vita. L’alternativa è raccogliere la sfida di prendere il largo, ma non come una frase da immaginetta o spunto ispirativo per qualche slancio sentimentale, piuttosto come l’impeto di chi non ha altra destinazione che non sia il centuplo qui e ora, e la vita eterna.
Ma chi, oggi, ha ancora il coraggio di sfidarci come fece Cristo, quel giorno, con Pietro? Riconosciamo tanti che ci vorrebbero con la testa bassa, con il desiderio corto, con l’animo quieto. Poi, a un tratto, arriva qualcuno che vive in modo diverso, che ci guarda in modo diverso e che non vede l’ora di vederci mollare gli ormeggi. Sa delle nostre paure, comprende le nostre resistenze, pazienta coi nostri errori, ma non molla.
Questo consente la generazione di uomini e donne liberi, per nulla speranzosi di una teoria sulla vita, ma curiosi di ciò che in loro deve ancora mostrarsi. Alda Merini esprime drammaticamente questa tensione in una delle sue poesie da brivido: “Gesù, / forse è per paura delle tue immonde spine / ch’io non ti cerco, per quel dorso chino sotto la croce / ch’io non voglio imitarti. / Forse, come fece san Pietro, / io ti rinnego per paura del pianto. / Però io ti percorro ad ogni ora / e sono lì in un angolo di strada / e aspetto che tu passi. / E ho un fazzoletto, amore, / che nessuno ha mai toccato, / per tergerti la faccia”. Quand’è stata l’ultima volta che abbiamo chiamato Gesù “amore”? E qualcuno “padre”? Tutto si gioca qui. Il resto, tutto il resto, è solo una gran perdita di tempo, da qualunque parte arrivi.
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