Se anche Adolescence ricorda la Settimana Santa

Sta facendo molto discutere la mini-serie Adolescence, che sembra parlare più della paternità che dell'adolescenza

Adolescence è la serie di cui quasi tutti parlano. Il tema trattato non rispecchia gli standard sociologici (né tutti, né la maggior parte dei ragazzi vivono in quel modo), ma è servita perché molti aprissero gli occhi e potessero avere una panoramica del mondo in cui, in un modo o nell’altro, vivono i loro figli. Adolescence non è, tuttavia, dedicata a quel periodo della vita in cui un ragazzo diventa uomo. In realtà, la protagonista di questa produzione è la paternità.



Nelle quattro puntate, girate in un formidabile piano sequenza, con una sceneggiatura ricca di sfumature e una recitazione superba, ci vengono offerti quattro punti di vista su un dramma che ci toglie il fiato. Un ragazzo di 13 anni, Jamie Miller, viene arrestato come presunto autore dell’omicidio di una compagna di scuola. Il ragazzo vive in una famiglia normale, in un quartiere normale. Suo padre, sua madre e sua sorella gli vogliono bene.



Gli insegnanti, i poliziotti, gli psicologi, la sorella, la madre, ma soprattutto il commissario che si occupa del caso e il padre di Jamie, devono confrontarsi con un male inaspettato, incomprensibile e impossibile da digerire. Il commissario e il padre – questa è la loro forza – si pongono domande di fronte a un’incognita che mette in discussione i loro schemi, di fronte a un mondo di cui ignoravano l’esistenza: quello dei social media con codici per loro indecifrabili, quello della scioccante violenza giovanile, quello delle ideologie che si nutrono di disinformazione, quello dei confini labili tra realtà e virtuale.



Il padre di Jamie vuole capire cosa c’è nel cuore e nella mente del figlio. Nel rapporto coi giovani, i problemi, per quanto estremi possano essere (e questo è estremo), non possono essere affrontati con un approccio morale, ma piuttosto con la conoscenza.

Il padre vede come ogni cosa nella sua vita sia invasa da un dolore estremo. Suo figlio non si dedica a quello che lui pensava. Tutto crolla e tutto resta in piedi. Suo figlio continua a essere suo figlio e, con un sorprendente gesto di paternità, lo abbraccia senza lasciarsi condizionare dal tradimento, dalle bugie o dal male fatto.

Non riesce a spiegarsi cosa sia successo, ma il padre sa che suo figlio è suo figlio. Jamie, che ha cercato un’identità maschile attraverso i sentieri più oscuri possibili, riceve un abbraccio da suo padre prima ancora di aver chiesto perdono. Quel che conta è l’io dell’altro, l’io del figlio. La cosa importante è che questo io esiste e che per il fatto di esistere è positivo. Ha una positività che non è nella disponibilità nemmeno dello stesso Jamie. Non la può distruggere.

In termini cristiani si può dire che la misericordia non si riferisce solo all’iniquità commessa. La misericordia è soprattutto l’affermazione del valore infinito del soggetto, qualunque cosa abbia fatto. La Settimana Santa non richiama eventi mitologici.

Il padre che abbraccia non è immune dall’onda d’urto del male. Mesi dopo è moralmente e psicologicamente devastato. Si chiede, tra le lacrime, dove ha sbagliato. Ed è qui che gli spettatori, soprattutto i genitori più giovani, cominciano a riflettere, giustamente, sulle conseguenze dell’abuso dei cellulari, sui contenuti tossici dei social media, sulla disinformazione e sulla distorsione cognitiva generata dal mondo digitale. Ma in realtà tutta la sfida tecnologica rimanda a un fenomeno senza tempo: un uomo, un giovane, non può vivere senza sapersi stimato, senza sapere che la sua identità è quella di qualcuno che è amato. Senza questa certezza, la violenza si presenta come una via d’uscita.

Ci sono adulti disposti a scendere in questi abissi? Come ben dimostra il personaggio della psicologa, per addentrarsi in zone così oscure non serve una compassione blanda, non servono le mezze misure o le regole. Occorre solamente che ci siano persone capaci di sfidare un adolescente sul suo territorio, chiamando le cose con il loro nome, in modo che sia protagonista della propria storia.

La serie si conclude con il pianto prolungato del padre di Jaime. Non è consigliabile, come affermava T.S Eliot, avere troppa curiosità riguardo i misteri del bene e del male, ciò che conta è trovare abbastanza luce per fare un passo e poi quello successivo. Questo è quello che rende interessante per gli adulti la sfida che implicano i giovani: li costringe a ricercare ragioni e presenze che non siano diventate obsolete.

Gli sceneggiatori probabilmente non lo sanno, ma il pianto del padre è una supplica affinché quella misericordia più grande del perdono diventi tangibile.

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