Pasqua, disponibili alla sua compagnia definitiva

Che la Pasqua ci trovi disponibili alla compagnia definitiva di Cristo risorto. Che, come habitat naturale, ha scelto il nostro io

“Spesso, quando mi frequento con un ragazzo che mi piace un sacco, capita che poi mi usa, mi ignora e alla fine sparisce. Dopo un po’ ritorna chiedendo perdono per poi scomparire di nuovo. Mi sa che mi piacciono le persone sbagliate”. Chissà quante volte, magari non nei termini drammatici che ha usato la mia alunna, ci sarà capitata un’esperienza analoga. La sensazione è quella di non essere capiti, accolti e abbracciati per quello che siamo. L’ombra di un ideale di noi lontano copre il reale della nostra vita.



Ci ritroviamo così o in un perenne affanno per conquistare la meta del nostro io mai raggiunto o, più spesso, disillusi e scoraggiati per aver conosciuto le persone sbagliate, spostando il cuore della sfida fuori di noi. In ogni caso la nostra conclusione rimane sempre la stessa: “Ma è tutto qui?”.

L’inquietudine non trova una casa e spesso intraprende un’inarrestabile gara a chi si distrae per primo. Continuiamo a fare le nostre cose, ad assolvere ai nostri doveri, a riempire il tempo per non pensare, ma noi non ci siamo. L’isolamento dalla realtà prende il posto dello stupore.



Lo esprime bene Shiva nella sua canzone Diversi: “Puoi parlare, tanto non sento / Fammi male, tanto non cambio / Chiamo Dio in questo momento / C’è bisogno di un intervallo”. Capiti quel che capiti siamo sempre altrove, in un perenne intervallo.

Non è stato diverso quello che è accaduto agli apostoli dopo la morte di Gesù. Disorientati e impauriti, hanno pensato bene di nascondersi nel posto in cui pensavano di poter trovare sicurezza. Il cenacolo, che fino a poche ore prima era diventato il luogo dell’avvenimento della consegna totale di sé da parte del Figlio di Dio, viene ora trasformato nel posto della messa in sicurezza di sé e della paura. È il destino della vita quando manca Cristo.



E che iniziativa ha preso il Mistero per sparigliare ancora le carte? La stessa della notte di Betlemme: rompe il silenzio della notte della paura con l’annuncio della sua presenza. Una compagnia definitiva alla vita di ogni uomo resta la possibilità per tutti di scoprire le ragioni per ricominciare. Si introduce così una novità nel modo di vivere che, se fosse per noi, non inizierebbe mai: “Che Cristo è risorto, che la persona di Gesù di Nazareth che ha conquistato la vita vive, che non è un fatto del passato, che non è un devoto ricordo, che non è un sentimento, che è una presenza che permane nel tempo, lo si capisce perché introduce uno sguardo nuovo su tutto e noi lo possiamo toccare con mano in tante occasioni: attraverso le testimonianze di altri che ci introducono a un modo di guardare il reale dove vibra la risurrezione di Cristo. E questo fa sì che le circostanze concrete comincino a essere diverse” (don Julián Carrón, Appunti della Scuola di Comunità del 17 giugno 2015).

Tutte, persino quelle fastidiose che non sappiamo gestire, che sfondano i nostri schemi e ragionamenti, costringendoci a fare i conti con il fatto che accadono. Spesso ci trovano disorientati, impauriti, sospettosi, scettici, come molti di coloro che hanno assistito alla condanna e alla morte in croce di Cristo.

Dio, però, non si è preoccupato di risparmiare a tutte quelle persone la verifica di ciò a cui stavano, volenti o nolenti, partecipando. Così come non ha risparmiato al Figlio la solitudine estrema di quelle ore, colmata solo dalla presenza di Maria con la quale c’era, come ha scritto Papa Francesco nelle meditazioni per la Via Crucis al Colosseo di quest’anno, “un’indicibile intesa, un’alleanza indissolubile”.

Don Giussani descrive efficacemente la vertiginosa solitudine di Gesù sul Calvario: “È una fecondità anche quella per cui Cristo, morendo solo, sconsigliò a tutti, anche ai suoi più amici, una sequela palese, sconcertò la loro speranza di mesi o di anni; anzi la sua fine solitaria discusse tale speranza e i due discepoli di Emmaus ce lo confermano. Ma Cristo morente, nella sua coscienza di uomo, quale percezione aveva del suo essere seme, principio sconvolgente della storia e del mondo!” (Viterbo 1977).

L’ipotesi di guardare alla vita con la semplicità dei bambini, senza scartare nulla della realtà, fa parte di quelle questioni che non possiamo delegare o scaricare a nessun altro. Quindi, quali sono state, di recente, le circostanze concrete che hanno cominciato a essere diverse per noi? Con che volto ci è venuta a prendere la risurrezione di Gesù? In che modo è stato sfidato il nostro “Ma è tutto qui?”, tanto da riaccendere il gusto per il nostro desiderio di infinito che si serve persino di una domanda come questa, e di una solitudine che può aprire la strada alla fecondità?

E poi: “Ti è capitato di fare qualche volta esperienza, anche nel rapporto con le persone e con le cose limitate, di una pienezza sconfinata? Sì. Bene, questo è solo un’immagine lontanissima di quel che introduce Cristo nella vita. Se la Risurrezione non è questo, se Cristo non è la Presenza che introduce questa novità nella vita, allora saremmo nella mischia come tutti, perché il desiderio dell’uomo è sterminato… Ma in certi momenti è come se questo orizzonte si sfondasse e cominciassimo a vedere che il Mistero introduce qualcosa di nuovo, che ancora non ci è familiare, ma di cui abbiamo già percepito tutta la verità, tutta la densità di realtà, perché siamo stati contenti, perché siamo stati traboccanti, non perché le cose sono ‘andate bene’, ma per Lui. Se questo non è un’esperienza, la Risurrezione rimane un’affermazione assolutamente vuota, perché dentro lì – dentro, non accanto, non dopo, non sognando una situazione diversa –, quando sei con i tuoi figli a pulire loro il sedere, vibra la risurrezione di Cristo” (don Julián Carrón, Appunti della Scuola di Comunità del 17 giugno 2015).

Che la Pasqua ci trovi disponibili alla sua compagnia definitiva che, come habitat naturale, ha scelto il nostro io.

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