Una delle esclamazioni più ricorrenti nei giorni immediatamente seguenti l’elezione di Leone XIV, da parte di persone di tutti i tipi, è stata: “Abbiamo il Papa!”, detta con una tale soddisfazione e gioia che sembrava che tutti fossimo stati presenti al conclave.
In effetti questo un po’ è vero. Vuoi per le notizie, vuoi per le curiosità, vuoi per le dirette con commenti su tutto e su tutti, a molti è sembrato di essere presenti sul serio. Sulla rete sono girati video amatoriali che riprendevano le scene di quello che è successo appena c’è stata la fumata bianca. Moltissimi, a Roma, si sono precipitati in piazza san Pietro anche se, dalle postazioni raggiunte, non si vedeva nulla. Televisioni, tablet e cellulari sono diventati la possibilità per molti altri di seguire tutto in diretta ovunque si trovassero. Riunioni interrotte, lavori sospesi, occupazioni messe in pausa per quell’ora in cui la gente si salutava dicendo: “Abbiamo il Papa!”. A scuola, molti ragazzi che non mettono più un piede in chiesa dal giorno della cresima, erano curiosissimi di quello che stava accadendo.
Possiamo liquidare tante della parole dette e delle opinioni ascoltate, ma l’intensità di quell’attesa non sarà archiviabile troppo in fretta. Tutto questo, forse senza saperlo, è già la prima grande risposta alla sfida posta da un certo modo di vivere i rapporti e, in particolare, dall’intelligenza artificiale che Papa Leone ha messo subito tra le priorità da affrontare.
Gente che corre, sguardi che si incrociano, reazioni di gioia incontenibili, voglia di incontrarsi, di vedere qualcuno a cui dare per primo la notizia, clima di un’attesa misteriosa… questa è la vita che tutti abbiamo visto esplodere davanti ai nostri occhi e che nessuno può vivere al nostro posto. Abbiamo fatto la verifica che non può essere sostituito il soggetto che è ciascuno di noi.
Per questo l’unica vera sfida per la Chiesa è sempre stata, e sempre sarà, la generazione della persona che “ritrova se stessa in un incontro vivo, vale a dire in una presenza in cui si imbatte e che sprigiona un’attrattiva” (L. Giussani, L’io rinasce in un incontro. 1986-1987, p. 182).
Solo ciò che è in grado di accendere questa attrattiva potrà essere all’altezza di tutte le nostre domande e attese, che in queste settimane si sono manifestate in vari modi. L’alternativa è rimanere ancorati agli elenchi delle cose da fare, agli auspici per il futuro, alle analisi accurate della situazione attuale, ai discorsi ben impostati per ribadire verità troppo a lungo taciute. Se manca il soggetto, però, se la persona non è libera e certa, chi raccoglierà la sfida? Chi si lascerà smuovere nell’intimo? A chi verrà voglia di rischiare personalmente? Tutto sarà destinato a cadere per l’ennesima volta nella voragine del nulla che tutto divora.
E poi: “Chi protegge Cristo da me stesso? Chi lo mantiene libero dall’astuzia del mio io che vuole sfuggire a un vero dono di se stesso? E la risposta è: la Chiesa” (R. Guardini in H.B. Gerl, Romano Guardini. La vita e l’opera, Morcelliana, Brescia 1988, p. 45).
In un tempo come il nostro è paradossalmente spalancata la strada all’incontro. Tanti muri sono caduti, le ideologie non hanno più la presa di qualche decennio fa, la fragilità del vivere indebolisce la presunzione di chi non deve chiedere mai, lasciando così lo spazio necessario a una vera alternativa.
Si vedrà se la Chiesa, se io e te, saremo disponibili a diventare compagni di viaggio di coloro che incontriamo e che ci guardano con curiosità e desiderio. Si vedrà se, terminato il tempo della reazione, ci sarà spazio per una vera azione. Vedremo se, finalmente, si potrà inaugurare il tempo della persona, nel quale tutti siamo insostituibili protagonisti del presente, ben consapevoli del fatto che “Non si costruisce una realtà nuova con dei discorsi o dei progetti organizzativi, ma vivendo gesti di umanità nuova nel presente” (L. Giussani, Dall’utopia alla presenza. 1975-1978, Bur, Milano 2006, p. 66).
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