Mentre inizio a scrivere questo editoriale la mente si riempie di mille suggestioni. Anzitutto sono i primi giorni di Papa Leone XIV, con tutto il carico di discreta novità con cui si sta muovendo. Parole semplici e gesti misurati che hanno però l’effetto di una dolce lama che pian piano ha tutta l’intenzione di scendere in profondità.
Un secondo pensiero è mosso dalla fine della scuola. La corsa alle ultime sufficienze per salvare le materie, le procedure di fine anno, i volti di chi si vede già in vacanza.
Poi c’è lo scenario internazionale, l’urgenza della pace, gli appelli lasciati cadere, la promessa di Cristo nel Vangelo di oggi: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi” (Gv 14, 27). Siamo incamminati verso la Pentecoste, che celebreremo il prossimo 8 giugno, e ci sarebbe anche il grande tema dello Spirito Santo, con tutte le sue implicazioni e conseguenze. Sempre il Vangelo odierno suggerisce il suo protagonismo storico: “Lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto” (Gv 14, 26).
A un tratto, però, mi domando: “Ma io cosa sto vivendo di così interessante tanto da poter essere una provocazione utile anche per chi legge? Cosa c’è di già vivo nella mia vita di tutto quello su cui potrei scrivere grandi teorie? Cosa mi sta muovendo oggi?”.
C’è un episodio che mi accompagna da alcune settimane. Al termine di una lezione avevo ripreso un mio alunno perché continuava a distrarsi. L’avevo ripreso in malo modo e, per il rapporto che ho con lui, ci era rimasto male. Al suono della campanella di fine ora vedo che, mentre tutti escono, lui non si muove. Cerco di prendere tempo sistemando le mie cose, ma lui non fa una piega e resta in piedi al suo posto. A quel punto mi alzo e lo guardo. Sorprendo i suoi occhi che stavano aspettando i miei. Ci guardiamo e si apre un sorriso sul viso di entrambi. A quel punto scendiamo insieme per andare a casa. La cosa più bella della vita è proprio questa grazia di essere attesi.
Me ne accorgo con più evidenza quando sono stanco e appesantito, perché la fatica – se presa sul serio – toglie l’abitudine alla vita, risveglia la lotta e tende a rendere tutto più avvincente e consapevole, costringendoci a ritrovare le ragioni del nostro muoverci. Questo è ciò che vivo adesso e che mi si presenta in circostanze e volti differenti che mi ricordano che non c’è nessuna situazione in cui non possa dire “io”, come l’episodio capitato a scuola, dove è difficile stabilire chi abbia atteso chi.
A proposito dello Spirito Santo, comunque, ho letto recentemente un testo del 2008 di Papa Benedetto XVI che riporta questa frase di sant’Agostino: “Lo Spirito Santo fa dimorare noi in Dio e Dio in noi; ma è l’amore che causa ciò. Lo Spirito pertanto è Dio come amore!” (De Trinitate 15,17,31). Questo scambio di dimore è ciò che rende possibile guardare alla realtà senza lasciarsi scappare le sfide che presenta. Senza che me le lasci scappare io. E possiamo sfidare l’altro solo se siamo sfidati noi.
La sfida, però, è già posta, ed è quella dell’amore, come ha ribadito Papa Leone nell’omelia della s. Messa di inizio pontificato: “Questa è l’ora dell’amore!”. Talvolta, infatti, siamo tentati di credere che siano altre le sfide, inventate da noi in base a come evolvono gli eventi, improvvisandoci buoni in un mondo di cattivi, maestri illuminati in mezzo a folle di gente che non capisce.
In realtà la grande domanda che campeggia in ogni dettaglio è sempre la stessa, di quel giorno, in disparte: “Mi ami più di costoro?” (Gv 21, 15). Cristo pone definitivamente a Pietro l’unica sfida comprensibile a tutti, la più urgente e necessaria. Dalla sua risposta, non di altri, dipende il presente e il futuro, esattamente come accade a noi. Occhi negli occhi, sapendo bene Chi attende chi, possiamo continuare a rischiare.
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