Si dice spesso in Occidente, tra persone che sono abituate a viaggiare per diversi motivi: “mal d’Africa”. È un modo di dire che è entrato in letteratura e persino nella musica, con una canzone di Franco Battiato negli anni Ottanta del Novecento.
Il significato ha in genere un aspetto psicologico, si riferisce a una sensazione di nostalgia e desiderio di tornare in quel continente. In genere è una nostalgia intensa, legata ai paesaggi, alla cultura e all’atmosfera africana, che può manifestarsi al rientro in una città dei continenti soprattutto occidentali.
È uno dei tanti paradossi che si possono cogliere in Europa soprattutto entrando nei problemi dell’Africa, studiandoli e ricordando storicamente i rapporti tra quello che si chiamava il “continente nero” e gli abitanti degli Stati che hanno colonizzato per secoli gli sterminati e splendidi territori africani.
Quello che stupisce in genere negli studi sull’Africa è che in genere si presenta questo grande continente (un triangolo con la punta del Capo di Buona Speranza all’estremo Sud, che divide due Oceani, quello Atlantico e quello Indiano, e a Nord incrocia la sua storia con il Mar Mediterraneo) come un’entità monolitica, associata principalmente a guerre, povertà, migrazioni e terrorismo.
Questa visione non corrisponde alla realtà che è invece molto più ricca, complessa e dinamica e che per molti osservatori rappresenta il luogo del futuro, sia che si tratti di cambiamenti climatici, di transizione economica inclusiva e di sicurezza. La sfida del futuro comincia adesso e la posta in gioco è altissima. Lavorare con l’Africa, con le molte Afriche, come spiega “Nuova Atlantide”, la rivista della Fondazione per la sussidiarietà nel suo ultimo numero, è l’unica strada.
Si deve parlare di Afriche. Facciamo un piccolo riassunto: il continente è composto da 54 Stati, un miliardo e 200 milioni di abitanti e oltre duemila lingue differenti. Solamente negli ultimi due decenni, con i dati del 2024, ha attraversato una trasformazione impressionante, segnata da una grande crescita economica e da un’incredibile innovazione in settori chiave come la tecnologia digitale, l’energia rinnovabile e l’industria estrattiva.
Nonostante questo, ecco che si affaccia il vero paradosso: la crescita è accompagnata da una continua lotta per sfide profonde, tra cui le diseguaglianze economiche, l’instabilità politica e le crisi sanitarie.
Nonostante la crescita e un aumento demografico costante, il Pil pro capite dell’Africa è il più basso del mondo, circa 7mila dollari l’anno di media (meno della metà del Sud America e dell’Asia) e in certi Paesi rasenta cifre drammatiche. Se il Pil pro capite è di quasi diciannovemila dollari nel Botswana, si riduce a meno di 1.700 dollari nel Ciad. Differenze e diseguaglianze spaventose.
Sul piano politico, sia il “Freedom House” sia l’Economist Democracy Index individuano dieci Paesi democratici in Africa. Si parla di Botswana, Sud Africa, Capo Verde, Mauritius, Tunisia, Namibia, Ghana, Lesotho, Madagascar, Malawi. Ma anche in questo caso troviamo differenze molto marcate. In fondo a queste classifiche ci sono gli Stati autoritari come l’Etiopia, la Repubblica democratica del Congo, l’Egitto, il Ruanda, il Ciad, il Camerun e la Libia divisa e sempre in contrasto tra parti avverse.
L’Africa ha avuto anche grandi uomini politici: da Leopold Senghor, a Frantz Fanon, da Nelson Mandela a Patrice Lumumba, all’algerino Ben Bella. Così come pure ha avuto dei feroci tiranni, si pensi solo a Bokassa (Repubblica Centrafricana), Mobutu (Zaire), Amin (Uganda).
Ma le passate e presenti contraddizioni dell’Africa non pregiudicano il grande futuro che l’attende. Abbracciando la democrazia e liberandosi di una neo-colonizzazione che diversi Paesi cercano ancora di esercitare, l’Africa nel contesto dell’economia globale giocherà un ruolo sempre più cruciale, non solo come fornitore di risorse naturali, ma anche come mercato emergente per beni e servizi.
Le potenze economiche mondiali come la Cina, l’Unione europea e gli Stati Uniti hanno stretto alleanze con Paesi africani cercando di accedere alle risorse naturali e di promuovere investimenti in infrastrutture e sviluppo. La Cina in particolare ha intensificato gli investimenti in Africa, costruendo strade, ferrovie e centrali elettriche, in cambio di accesso alle risorse naturali tra cui le terre rare.
Con le riforme economiche implementate a partire dal 1978 la Cina ha cominciato ad aprirsi e le imprese cinesi ad aprire nuove imprese in Africa. Nel 2012 la Cina è diventata il maggior partner commerciale del continente africano e oggi è il quinto maggior investitore in Africa dopo Paesi Bassi, Francia, Stati Uniti e Gran Bretagna.
Occorre sottolineare che il rapporto tra Cina e Africa è caratterizzato anche da motivazioni politiche e strategiche. Una delle ragioni storicamente più importanti è il supporto politico soprattutto all’interno delle Nazioni Unite. Questo legame è cruciale per Pechino poiché con oltre un quarto dei voti totali, il gruppo dei Paesi africani detiene un significativo potere all’interno dell’organizzazione internazionale.
Per queste e molte altre ragioni il continente africano merita molta più attenzione di quella che riceve. Umanità vivaci, culture profonde e grandi ricchezze naturali. Queste sono le “Afriche” che il neo-colonialismo, ancora presente, non aiuta a conoscere e a comprendere. Ma sono quelle che guardano al futuro e che vanno conosciute e raccontate.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.